mercoledì 30 novembre 2011

Così mi vedete

Non solo birra...
Pubblico qui questo mio racconto già pubblicato nella mia raccolta "Un po' l'ora notturna" (Kimerik, 2006) ora fuori catalogo.
http://http//birrapasqui.blogspot.com/p/un-po-lora-notturna.html

Ci sono momenti in cui avvertiamo dei rumori misteriosi che provengono da fonti ignote, spesso sono causati dal vento, altre volte dalla nostra immaginazione, oppure sono, o sembrano, davvero inspiegabili.
Gli abitanti di V.g. da qualche notte a questa parte, sentivano un qualcosa che assomigliava, secondo certuni, ad una voce, una voce femminile proveniente dall’alto. Molti ritenevano che ciò fosse una suggestione, forse la brezza che scende accarezzando le colline porta con sé un sibilo prima inaudito, forse il vociare del giorno rimbalza nelle nostre orecchie anche durante la notte, e tutti sanno che nei sogni accadono cose ben più strane. Ma no, non stavano dormendo gli abitanti del paese, era soltanto notte, una notte silenziosa di campagna. Spesso sentivano latrare cani lontani, gli uccelli serotini che modulavano i loro canti, o, più avanti nella stagione, la frizione delle elitre dei grilli costanti e tenaci. Mai così tante persone, negli stessi momenti, avevano ascoltato la vocina soffiata, che parlava, benché le parole non s’intendessero. C’era chi guardava con sospetto il cimitero, forse qualcuno da lì era fuggito, c’era chi ascoltava ma non credeva, c’era chi non ne voleva parlare, chi gridava subito al miracolo, chi negava l’evidenza, chi si prendeva beffe di chi avanzava opinioni su quanto stava accadendo… Pur non essendo tanti gli abitanti, tante erano le considerazioni diverse che si respiravano nell’aria. Ovviamente, tra le ipotesi contemplate, non mancava quella secondo cui si sarebbe trattato di uno scherzo giocato da “non so chi” all’intera comunità.
Una cosa era sicura: la voce proveniva dall’alto.
Due o tre persone vollero salire sui tetti delle loro case per capire, scrutarono il panorama dall’alto, cercarono tra le fronde degli alberi un altoparlante o un megafono, qualcuno salì sui tralicci dell’alta tensione credendo fossero rumori causati dall’inquinamento elettromagnetico, altri accusavano il ripetitore non lontano: chi più di esso trasmetteva voci?
La teoria del ripetitore risultò piuttosto convincente, ma, richiesto il parere tecnico di un operatore del settore, i più abbandonarono anche questa strada.
E allora? Da dove proveniva quella voce?
E che cosa diceva?

A due amici del parroco venne in mente di salire sul campanile: la vetta più alta del paese, ed effettivamente da lì si potevano ascoltare le parole mormorate dall’alto:

avete guardato dovunque fuorché in cielo sussurrava e se anche adesso volgete i vostri occhi all’insù non vi accorgerete di me.

In effetti, non era facile guardare il Firmamento dall’ultimo piano del campanile, quello delle campane, sicché i due, senza dir nulla al parroco, osarono salire sulla cuspide e sedersi sui suoi bordi abitati da ostinate piantine di cappero. Ora sì che potevano vedere un bel cielo stellato, nitido e pulito, soltanto un po’ chiaro e ingiallito verso oriente e mezzogiorno, là dove si adagia la città con le sue mille luci.
Così mi vedete esultò la vocina così finalmente vi siete accorti che sono quassù. I due contemplavano solo stelle, era possibile che fosse una stella a parlare? A poco a poco una torma d’increduli s’affollò sotto il campanile, scrutando ed ascoltando i due compaesani che parlavano al cielo. Alcuni mormoravano della follia dilagante, altri sorridevano divertiti, ma presto si accorsero che una stellina brillante stava rivolgendosi anche a loro.

Così mi vedete ripeteva, e mi rivolgo a ciascuno di voi.
Ora che i vostri umili occhi umani si sono posati su di me drizzate bene le orecchie, ed ascoltatemi. Io ogni estate brillo sulle vostre teste – una tra tante – direte voi, ma così non è.
Così mi vedete, una tra tante, ma sono l’unica che dà ricchezza davvero alla vostra vita ed al vostro lavoro: voi, infatti, non sapete che senza di me le vostre viti non crescerebbero, ed avvizzirebbero rattrappendo e piegandosi fino a seccarsi senza dare frutto.
Raccogliereste solo pochi acini, aspri e poveri, da cui neppure una misura di mosto sarebbe possibile ricavare. I vostri raccolti, la vostra prosperità, il vostro ottimo vino sono solamente opera mia; non crediate che sia grazie al lavoro svolto con premura e sollecitudine, con fatica e sacrifici.

Gli ingenui abitanti del paese erano sconcertati, alcuni si ritenevano offesi ed amareggiati, ma i più nutrivano una specie di timore reverenziale che li spingeva a dare ragione all’astro petulante. Nessuno osò contraddire ad alta voce la stella, rivendicando l’importanza del proprio lavoro, nessuno manifestò il proprio disappunto, e nel villaggio si diffuse un ineffabile silenzio, rotto soltanto dai grilli costanti e tenaci. Fu però proprio dalla terra che si levò una voce contraria.

Cari abitatori del terreno che mi ricopre, non fatevi abbindolare dalle parole sciocche della stella soltanto perché brilla sopra le vostre teste, non lasciatevi sedurre dall’inganno: è una menzogna quello che dice. Se le viti che, grazie al vostro lavoro, producono uva succulenta e bella, una parte del merito deve andare a me, giacché se io non drenassi la terra, e non la rendessi fertile con le mie scorie essa sarebbe più povera. La stella è lassù in cielo, una tra tante, cosa credete che possa fare? Non datele retta e, piuttosto, ascoltatemi: vi chiedo di donarmi parte del vino – com’è giusto – perché rivendico parte del merito alla buona riuscita di esso.

Un lombrico viscido ed insignificante aveva parlato e, ben deciso, aveva avanzato le sue richieste.
Tali parole scaturirono subito la reazione della stella.

Strana notte questa, che mi vede opposta ad un verme della terra, vorrei tanto risponderti tacendo, ma lo faccio a parole, sicché tu sia umiliato davanti a tutti e torni a nasconderti nelle oscure profondità del pianeta. Tu dici di concorrere alla buona riuscita del vino della regione, tu, proprio tu! Io con un solo sguardo brillo su tutte le viti del pianeta, tu in tutta la tua vita percorrerai sì e no cinque filari. E poi osi anche avanzare richieste? Tu, viscida virgola? Ricordati che se è vero che le tue scorribande sotterranee giovano alla salute del terreno hai già la ricompensa che chiedi quando ti nutri dello stesso terreno. Che cosa esigi di più? Che cosa vuoi ancora? Guarda me, se hai gli occhi, e pensa che io brillo sui filari e non ricevo nulla in cambio. Sono io, soltanto io, in debito con questa gente: chiedo pertanto che mi venga offerto tutto il vino rimasto a partire dalle ultime quattro vendemmie.

La stella non aveva ancora terminato il suo discorso che il lombrico era scomparso tra le zolle profumate.

Ora gli abitanti del villaggio erano in pensiero perché non sapevano come fare per soddisfare la stella: non era infatti tanto un problema recuperare il vino, quanto come porgerglielo. In realtà parecchi non avevano capito molto di ciò che la stella ed il lombrico avevano detto, perché le loro parole sembravano troppo difficili ed inconsuete alle loro orecchie, più propense a distinguere i diversi canti degli uccelli che alle finezze lessicali. Ognuno pensava, c’era chi progettava una scala infinita, chi una fionda sparabottiglie, chi delle molle per saltare fino alla Via Lattea, qualcuno confidava in un miracolo… C’erano studiosi improvvisati, per lo più insegnanti in pensione, che tentavano di calcolare ad occhio nudo la probabile distanza dal suolo all’astro senza però trovare un accordo né una stima convincente. Intanto il tempo passava, e i grilli costanti e tenaci perpetuavano la loro canzone. La notte ormai era terminata, la stella incitava, scalpitava, aveva fretta perché dopo qualche ora sarebbe scomparsa, vinta dalla luce del sole. Ma la gente del paese non riusciva, con tutta la buona volontà, ad escogitare un modo concreto ed efficace per donare il vino al cielo. C’era perfino chi, recuperato un deltaplano, provò a sfruttare le timide correnti ascensionali abbozzando, nelle ultime propaggini della notte, un volo tanto incerto che non si elevò oltre il doppio dell’altezza del campanile. Qualcuno, infine, prese dei tini e vi fece bollire grandi quantità di vino che, evaporando, solo in minima parte raggiunse la stella la quale, affatto contenta, ne esigeva tanto e tanto ancora. La scala infinita non era più alta del campanile quando albeggiò sulla frazione di V.g., e la stellina scomparve sdegnata. Sopraggiunto il mattino, grazie al benefico influsso del sole, ciascuno tornò alle proprie case e prese ben presto a lavorare, dimenticandosi delle parole della stella.

Un contadino, guardando i grappoli acerbi, corse in casa a riempire un bicchiere di vino rosso: ma non era per lui, perché, una volta sotto una delle tante viti dei suoi filari, versò il liquido color rubino a terra. Da una fessura emerse il lombrico che lo ringraziò.

Umberto Pasqui