lunedì 23 gennaio 2012

Insalata di vento: nuova edizione!

E' stato pubblicato di nuovo "Insalata di vento", dopo la precedente edizione (2005) ora esaurita e fuori catalogo (per cui, per chi ce l'avesse, è una rarità). Nel volume è compreso anche "L'Ombra delle Stelle", racconto pubblicato nel 2007.

Insalata di vento e Ombra delle Stelle: una ricetta per liberarsi da un sogno e una pozione per liberarsi da un incubo. Tornerà il giovane Dante a vivere nella realtà? Riuscirà un villaggio di un pianeta lontano a ricostruire la sua civiltà?

 (La copertina è di Giorgio Pondi)

Lo trovate qui:

E dai, per soli 10 euro è uno sforzo che si può fare...
L'autore ringrazia
UP

mercoledì 18 gennaio 2012

L'uomo della birra - Ragioni

Articolo pubblicato sul mensile "Le Ragioni dell'Occidente" - gennaio 2011

Romagna: terra della birra
L’esperienza dell’agronomo Gaetano Pasqui, capostipite degli odierni birrifici artigianali

Se si pensa alla birra viene subito in mente l’Europa centrale: la Germania, per esempio. Però anticamente questa bevanda era sorseggiata anche dalle genti del mediterraneo solite, nella maggior parte dei casi, ad usare timo o rosmarino in luogo del luppolo. Così gli etruschi, per citare una popolazione che in tempi antichi si era stanziata anche in Romagna, non disdegnavano beveroni di cereali fermentati. Con la supremazia della vite, e quindi del vino, la birra rimase affare per pochi, produzione limitata e artigianale per lo più prodotta in conventi e monasteri, e quindi bibita esclusiva, per così dire di nicchia. Il clima, da queste parti e in tutto lo Stivale, è più favorevole per la trasformazione dall’uva al vino. Tuttavia, più di un secolo fa, un forlivese scommise sul luppolo, ingrediente ormai fondamentale per la birra. E’ quanto riportato su “L’uomo della birra”, saggio pubblicato dalla casa editrice CartaCanta, scritto dal medesimo autore di questo articolo. Scalzare il mito del sangiovese è e resterà sempre un’impresa impossibile, ma Pasqui, favorito dall’infestazione di una perniciosa malattia della vite, vide possibile la diffusione delle luppolaie in Romagna. Giacché il luppolo nasce spontaneo, in riva ai fiumi, e non è poi tanto diverso da quello prestigioso e aromatico in voga nell’Europa centrale. L’indagine storica, condotta dallo scrivente, discendente di Gaetano Pasqui, protagonista del volume, prende in esame la singolare iniziativa del romagnolo, agronomo autodidatta che per primo produsse birra con luppolo italiano. In meno di cento pagine si riscopre questa storia, svoltasi nei dintorni di Forlì, nella casa di famiglia ove non mancavano le stalle nel retro, un pozzo e un grazioso gazebo in ferro battuto in cui i padroni passavano i pomeriggi estivi. La casa, situata a un paio di chilometri dal centro di Forlì, in località Bertarina a pochi passi dal ponte vecchio di Vecchiazzano, fu la prima fabbrica che produsse birra con luppolo italiano. Tutto questo ora non c’è più e al suo posto sorgono campi e palazzine costruite pochi anni fa. Il nome del forlivese Gaetano Pasqui a metà dell'Ottocento era noto per la sua attività di inventore di attrezzi agrari, di costruttore di modelli di macchine per migliorare la coltivazione dei campi e per i suoi studi pionieristici su barbabietole e arachidi. Ma l’impresa che fece parlare di lui in tutta Italia e non solo fu l’avvio di una fabbrica artigianale di birra, una delle prime in Italia (dal 1835) e la prima prodotta con luppolo italiano. Egli era, infatti, un birraio ma il costo del luppolo importato dalla Germania era diventato proibitivo: quindi pensò di introdurne la coltivazione in Italia. Raccolse le piantine di luppolo selvatico che crescevano nei pressi di casa sua, ne studiò le proprietà e provò a coltivarle: nel 1847 produsse la prima birra fatta con luppolo italiano. Solo nel 1850 ebbe le prime soddisfazioni e nel 1856 conseguì una medaglia in occasione dell'Esposizione provinciale di Forlì, cui seguirono altri riconoscimenti a Firenze (1861) e a Londra (1862). I suoi studi (fu anche assistente alla cattedra di agronomia nel Regio istituto tecnico di Forlì) furono ammirati nelle più prestigiose Università e il suo luppolo, nonché la sua birra, riscossero successo in varie città d'Italia e d'Europa, come testimoniano documenti e opuscoli conservati nel Fondo Pasqui della Biblioteca comunale di Forlì. La Birra Pasqui non sopravvivrà a Gaetano, morto nel giugno del 1879 a settantadue anni, ma l'esperienza dell'agronomo forlivese fu riportata su testi scientifici e accademici dell'epoca e diede impulso alle grandi aziende che tutt'ora sono marchi conosciuti. Decine di migliaia di bottiglie (in terracotta) smerciate ogni anno e appositi strumenti agrari, inventati ad hoc dal forlivese, costituiscono il frutto di quest’esperienza tutt’altro che improvvisata. Gaetano Andrea Leonardo Pasqui morì nella casa al numero 18 di Borgo Ravaldino (ora corso Diaz) alle 14.45 del 19 giugno 1879. Lasciò la moglie Geltrude Silvagni e i figli Tito, Ottavia, Claudia, Livia. Ora è sepolto nella tomba di famiglia situata nel Cimitero monumentale di Forlì. L’intuizione dell’agronomo di rendere la Romagna una regione della birra, rimasta latente per centocinquant’anni, da qualche tempo sembra riaffiorare: a macchia d’olio sono diffusi piccoli birrifici artigianali, anche domestici, per intenditori o semplici appassionati.
Umberto Pasqui

domenica 15 gennaio 2012

L'uomo della birra - Voce

Testo dell'articolo pubblicato su La Voce di Romagna del 13 settembre 2010

L'uomo della birra”, ovvero un'indagine sulle origini romagnole del nettare di Cerere. Il saggio, scritto da Umberto Pasqui e pubblicato dalla casa editrice forlivese CartaCanta, ripercorre la vicenda dimenticata di Gaetano Pasqui, ascendente dell'autore, artigiano, agronomo e imprenditore, primo mastro birraio romagnolo. In meno di cento pagine si riscopre questa storia, svoltasi nei dintorni di Forlì, nella casa di famiglia ove non mancavano le stalle nel retro, un pozzo e un grazioso gazebo in ferro battuto in cui i padroni passavano i pomeriggi estivi. L'edificio vantava un sistema idraulico particolare che metteva in contatto il canale di Ravaldino con il fiume Rabbi. A corredo di questa singolarità c’era una cisterna circolare, con l’apertura ad imbuto, collocata entro un porticato che faceva da confine tra la casa padronale e il fabbricato dei contadini. Una bandierina segnavento con le lettere “G.P.” svettava in cima al tetto mentre sul cornicione erano collocate numerose bottiglie in terracotta. Nella cisterna circolare, infatti, si lasciava fermentare il luppolo per fabbricare la birra. La casa, situata a un paio di chilometri dal centro di Forlì, in località Bertarina a pochi passi dal ponte vecchio di Vecchiazzano, fu la prima fabbrica che produsse birra con luppolo italiano. Era un antico edificio, con finestre strette e muri molto spessi. Il palazzo del padrone, dall'intonaco rosso, vantava anche un loggiato sotto il quale stazionavano attrezzi agrari. Un bosco da patrimonio botanico faceva da cornice: non resistette alla fame della guerra. Nel retro, la monta, la stalla e uno stalletto, utile per riporvi attrezzi. Un pozzo indicava la strada per la passeggiata alberata sull'argine antico, crinale del podere con vista sui rilievi forlivesi e sulle torri della città. Tutto questo ora non c’è più e al suo posto sorgono campi e palazzine costruite pochi anni fa. Così si è spenta la memoria di un uomo pieno di risorse e della sua impresa più significativa. Invece, il nome del forlivese Gaetano Pasqui a metà dell'Ottocento era noto per la sua attività di inventore di attrezzi agrari, di costruttore di modelli di macchine per migliorare la coltivazione dei campi e per i suoi studi pionieristici su barbabietole e arachidi. Ma l’impresa che fece parlare di lui in tutta Italia e non solo fu l’avvio di una fabbrica artigianale di birra, una delle prime in Italia (dal 1835) e sicuramente la prima prodotta con luppolo italiano. Egli era, infatti, un birraio ma il costo del luppolo importato dalla Germania era diventato proibitivo: quindi pensò di introdurne la coltivazione in Italia. Raccolse le piantine di luppolo selvatico che crescevano nei pressi di casa sua, ne studiò le proprietà e provò a coltivarle: nel 1847 produsse la prima birra fatta con luppolo italiano. Solo nel 1850 ebbe le prime soddisfazioni e nel 1856 conseguì una medaglia in occasione dell'Esposizione provinciale di Forlì, cui seguirono altri riconoscimenti a Firenze (1861) e a Londra (1862). I suoi studi (fu anche assistente alla cattedra di agronomia nel Regio istituto tecnico di Forlì) furono ammirati nelle più prestigiose Università e il suo luppolo, nonché la sua birra, riscossero successo in varie città d'Italia e d'Europa, come testimoniano documenti e opuscoli conservati nel Fondo Pasqui della Biblioteca comunale di Forlì. La coltivazione del luppolo, poi, si diffuse seppur timidamente un po’ in tutta la Romagna, tanto che si hanno notizie di piantagioni a Rimini e Cesena. In un testo di Eugenio Mazzei (“La coltivazione del luppolo nel cesenate”) del 1909, si prende posizione contro chi non crede nella “birra romagnola”. Si legge infatti: «a noi sembra inesatta l’asserzione generica di alcuni scrittori di agronomia, che il luppolo da birra non si sviluppi in Italia, crescendo invece spontaneo in Europa dall’Inghilterra e dalla Svezia sino alle regioni del Mediterraneo». E più avanti si portano le “prove”: «Del resto, una conferma di quanto pensiamo noi si ha già nel fatto che nella stessa Romagna, fino dal 1847 il sig. Gaetano Pasqui di Forlì fabbricante (in quel tempo) di birra, tentata la coltivazione del luppolo, ne sortì un esito veramente lusinghiero, avendo ottenuto da n. 3584 piante coltivato sopra una superficie di un ettaro (circa tre tornature e mezzo cesenati) L. 2010 di prodotto lordo, che diminuite delle spese di coltivazione rimasero L. 1430 di utile netto per ettaro». E poi viene riportato che «un’altra conferma della possibilità cioè, di ottenere coni di luppolo buonissimi per la fabbricazione della birra ci è stata data in questi giorni dallo stesso signor Comandini, portandoci alcuni coni di luppolo staccati adesso (inverno) da una pianta, che egli lascia crescere da anni allo stato selvàtico e facendoci rilevare come essi possedessero ancora molto polviscolo di color giallo dorato intenso ed un profumo, che di molto supera quel lo di alcuni coni di luppolo da noi fatti venire dalla Boemia a mezzo del sig. Guerrino Mussoni». Tale Filippo Comandini, in quel 1909, aveva impiantato una piccola luppolaia a Pievesestina. Sessant’anni prima, però, la coltivazione del luppolo poteva cambiare il volto della Romagna, terra non più di sangiovese, ma di birra; la filossera vessava le viti dei campi pianeggianti. Scrive infatti Alfonso Magiera in “Della coltivazione del luppolo” del 1875 che Gaetano Pasqui di Forlì «dal 1847 al 1850 coltivò una trentina di piante di Luppolo ed ebbe buoni risultati: all’infierire sulla vite della malattia che fece torturare l’ingegno a tanti dotti per trovar succedanei alla più gradita fra le bibite fermentate, lasciandone tutti più o meno sdegnato Bacco, il Pasqui, fabbricatore di birra, pensò sul serio alla sua coltivazione del Luppolo; nel 1873 aveva una luppolaja di qualche entità, fece buona birra e buoni danari». La Birra Pasqui non sopravvivrà a Gaetano, morto nel giugno del 1879, ma l'esperienza dell'agronomo forlivese fu riportata su testi scientifici e accademici dell'epoca e diede impulso alle grandi aziende che tutt'ora sono marchi conosciuti. Gaetano Andrea Leonardo Pasqui morì nella casa al numero 18 di Borgo Ravaldino (ora corso Diaz) alle 14.45 del 19 giugno 1879. La produzione di birra in Romagna è rimasta sempre una rara avis, non riuscendo mai a sconfiggere il dominio della coltura della vite e della cultura del vino. Solo da qualche anno si sono diffusi piccoli birrifici artigianali, anche domestici, per intenditori o semplici appassionati.

sabato 14 gennaio 2012

L'uomo della birra - Giorgetti

Personaggi romagnoli a cura di Gilberto Giorgetti
UNA DELLE PRIME BIRRE ITALIANE È NATA IN ROMAGNA CON GAETANO PASQUI

da
E’ RUMAGNÔL Periodico telematico di informazione e cultura romagnola
Anno II - N° 11 – Novembre 2010 Pag. 11

Si ritiene che i Pasqui da Città di Castello si siano trasferiti a Forlì per motivi politici.
Pur non conoscendo i veri motivi del trasferimento si presume che i Pasqui fossero dei proprietari terrieri e avessero preferito venire nella napoleonica Romagna, Forlì in particolare, dove poterono “coltivare” i loro interessi per l’agricoltura e per la politica.
Era il 1847 quando Gaetano Pasqui iniziò la coltivazione del luppolo e poi la produzione della “Birra Pasqui” alla “Bertarina” di Vecchiazzano.
Oggi la località dove era la villa Pasqui, con annessa casa colonica, ha nome Ca’ Ossi.
A quel tempo il borgo era formato da un piccolo gruppo di case lungo la riva destra del canale di Ravaldino, per la strada che conduce a S. Martino in Strada. Non c’era neanche la chiesa.
Infatti gli abitanti di Ca’Ossi dovevano assistere alle funzioni della chiesa di S. Martino in Strada.
Quando i Pasqui vennero ad abitare a Forlì la situazione economica e il grado di istruzione erano fortemente precari: la gente era povera, obbligata a lavorare in cambio di pochi soldi sotto padroni e fattori che spesso si dimostrarono incapaci di far fruttare appieno il loro terreno.
I governanti erano spesso corrotti e a rendere ancor più incerto il futuro delle famiglie ci si misero pure le rivoluzioni del 1831 -1843 - 1845 - 1848/49. In quegli anni, dettato anche dal malcontento popolare, il fenomeno del brigantaggio vide un forte incremento. Così Stefano Pelloni detto il “Passatore”, da “mite” traghettatore del fiume Lamone si tramutò in un fuorilegge che, inforcate le armi, dal 1849 al 1851 terrorizzò le Legazioni papaline della Romagna, cioè le province di Bologna, Forlì, Ravenna e Ferrara, sconfinando all'occasione anche nel Granducato di Toscana. In questo clima socio-politico Gaetano Pasqui in un suo fondo alla “Bertarina” si mise a coltivare una trentina di piante di luppolo, ma i primi risultati li vide solo nel 1850; lo stesso anno in cui fu smantellato il ponte romano detto dei “Morattini” per ampliare l’attuale corso Giuseppe Garibaldi. Il ponte, per le sue modeste dimensioni, era diventato insufficiente al traffico, in una città che già aspirava a diventare capoluogo di provincia. Una prima testimonianza della “Birra Pasqui” è documentata da un fascicoletto del 1861, composto da quindici pagine scritte e cinque illustrate. Mentre il libretto usciva dalla stampa, a pochi metri dal podere e dalla casa Pasqui, sul posto dove l’alluvione del 1842 fece rovinare l’antico ponte del 1451 e, come descrive lo storico Timoleone Zampa, “fu posta una gran trave attraverso al fiume con un parapetto di legno per comodo dei viandanti, per non dovere passare il fiume a guado”, l’11 luglio dello stesso anno si inaugurava il nuovo ponte progettato dall’ing. Giulio Zambianchi, lo stesso ingegnere che aveva rinnovato il Duomo a Forlì.
Oltre alle regioni del nord, tra le prime ad intraprendere la produzione della birra in modo semi-artigianale c’è anche la Romagna. In effetti, le prime industrie nazionali risalgono alla
Wührer di Brescia (1829), alla Peroni di Vigevano (1846), poi trasferita a Roma e alla Moretti di Udine (1859).
Nella prima “Monografia Statistica, Economica, Amministrativa della Provincia di Forlì” del 1866 è scritto quanto segue: “Il sig. Gaetano Pasqui ha introdotto la fabbricazione della birra ed ha iniziato la coltivazione del luppolo. L’attività si svolge essenzialmente per sei mesi all’anno ed occupa ordinariamente due operai. Nel 1863 sono state smerciate 35.000 bottiglie, anche fuori della Provincia”.
Con la produzione della birra, Pasqui raggiunse una certo agio economico ed una certa notorietà, tanto che nel pomeriggio del 16 aprile 1871 Gaetano organizzò un incontro presso la sua villa, al quale parteciparono alcuni leaders repubblicani e circa 700 invitati. L’incontro si svolse sul prato dove si banchettò a salame, agnello e paste, tutto accompagnato da un ottimo Sangiovese.
La birra prodotta da Gaetano Pasqui Nel 1847, oltre a Gaetano con la moglie Geltrude Silvagni e i figli Livia e Tito, di un anno appena, viveva nella stessa casa anche il fratello Giovanni, con la moglie Paola Vitali e i figli Eugenia, Domenico e Vittoria. Fu allora che Gaetano, senz’altro studio che l’osservazione e la curiosità, inventò la prima birra prodotta con luppolo italiano.
Era già un produttore di birra, ma il costo del luppolo importato dalla Germania era diventato proibitivo: e allora pensò di introdurne la coltivazione in Italia. Aveva notato, infatti, che qua e là qualche piantina di luppolo selvatico cresceva con vigore anche nei nostri campi. E allora provò a raccoglierle, a studiare “i precetti degli scrittori su tale argomento”. Solo nel 1850 ebbe le prime soddisfazioni e il luppolaio crebbe in modo esponenziale: fino a stipare un ettaro del suo fondo con oltre tremila piante.
Nel 1856 conseguì una medaglia in occasione dell’Esposizione provinciale di Forlì, e altri riconoscimenti a Firenze (1861) e Londra (1862) fecero uscire allo scoperto il lavoro dell’agronomo. Nella cittadina alsaziana di Haguenau, dal 10 al 20 ottobre 1867 si svolse un’Esposizione internazionale dedicata a “houblons, bières & matériel de brasserie”. Nel
catalogo degli oggetti esposti, risulta che Gaetano Pasqui era l’unico espositore italiano presente. “Ottenuti tali risultati avrebbe voluto il Pasqui aumentare i Luppoli, ma il terreno da esso posseduto è di limitata estensione, e non del tutto adattato a
tale coltura per essere costeggiante ad un fiume…” .
Pertanto, tramite la rivista “Incoraggiamento” di Bologna e nelle pagine de “La Nazione” di Firenze, scrisse un avviso col quale vendette tutte le piante di luppolo che fino ad allora aveva coltivato a casa sua:
“Gaetano Pasqui coltivatore di Luppolo e fabbricatore di Birra in
Forlì, desideroso che venga propagata la
coltivazione della predetta pianta fra noi
italiani,(…) pone in vendita i polloni a L.5 il
cento dei quali potrà disporne circa 4000… A
facilitare poi l’impianto di Luppolaie, il Pasqui
stesso offre ai nuovi coltivatori di loro
somministrare le pratiche cognizioni in
proposito, ed anche l’opera sua onde assicurare
la promessa riuscita…”.
Con la fine della coltivazione del luppolo in casa, la Birra Pasqui, che al 1861 era stata
smerciata in 35 mila bottiglie, arresta la sua produzione, benché fino a tutti gli anni ’70 dell’800 fosse ancora venduta, in limitate quantità, al Caffè gestito da Domenico Pasqui, figlio di Giovanni, nel Rialto piazza. In tempi in cui la vite in pianura sembrava destinata a scarsa fortuna a causa di un insetto, la filossera, che attaccava le piante uccidendole, forse la Romagna poteva diventare la terra della birra e le luppolaie potevano essere familiari come i vigneti oggi.
Ma così non fu. Curiosamente, il figlio Tito fu un grande sostenitore del vino:
contribuì a sconfiggere la filossera, e a promuovere l’enologia romagnola e italiana in diversi convegni europei.
Oltre al luppolaio di casa, Gaetano ne aveva impiantato un altro a scopo di studio, nel 1865 a Villa Pianta, presso il podere di seimila metri quadrati della Stazione agraria di Forlì, di cui era assistente agronomo. Questa luppolaia fu smantellata nel 1870, per far posto a una piantagione di barbabietole. In una relazione inviata al Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio del 1871, Gaetano Pasqui scriveva:
“In questo terreno negli anni precedenti si coltivò il Luppolo,
pianta aromatica importante della quale da molti anni primo
introdussi nell'Emilia la coltura, che ottenne premio distinto alla
Esposizione Nazionale di Firenze del 1861 e alla Mostra
universale di Londra del 1862, ove il mio luppolo fu trovato ricco
di luppolina come quello di Germania, del quale ora si fa tanta
importazione in Italia, mentre dovremmo esonerarci da questo
tributo che paghiamo agli stranieri, perocché il luppolo prospero
vegeta e dà ottimi ricolti anche nella nostra regione”.
La Birra Pasqui non sopravviverà a Gaetano, morto nel 1879, ma in tempi recentissimi, nel terreno circostante la vecchia “fabbrica”, erano ancora visibili i vasconi circolari per far fermentare il luppolo.
Gaetano Pasqui fu anche modellista e inventore di strumenti per l’agricoltura, come il polivomero-copriseme, il carretto Pasqui, o gli attrezzi specifici per le luppolaie: ovvero il levapertiche, il piantapertiche e lo zappetto-ronca.
Infatti “si studiò di rendere gli istrumenti rurali che d’ogni parte s’importavano, vantaggiosi alla agricoltura regionale. Non gli capitò innanzi apparato ch’ei non esaminasse diligentemente e non correggesse e migliorasse ove se ne manifestasse l’opportunità. Così modificò l’aratro Zelaschi, trasformando la bure, rialzando l’orecchio, aggiungendo il carretto; come pure portò cambiamenti in altri aratri e strumenti che furono giudicati utilissimi dai più esperti agricoltori. Si resero con ciò tali istrumenti adatti alle condizioni peculiari delle nostre coltivazioni e fu a ragione che le macchine del Deposito Governativo in Forlì venissero maggiormente encomiate e richieste. Nel 1867 (scrive il prof. Madalozzo) vedendo come l’uso di solcare il campo a porche larghe e male allineate, assai diminuisse il prodotto e assai di sementa sciupasse, inventò un attrezzo di cui si occuparono i più rinomati fra gli agronomi d’Italia e a cui fu dato il nome di
Coprisemi inquadernatore dal Botter, e di Polivomero copriseme dal Ricca-Rosellini, nome quest’ultimo che gli restò, aggiungendovisi quello del sagace inventore. Non ne farò la descrizione, nota ai più; questo vo’ dire però che nella mostra universale di Parigi del 1867 le due cose più ammirate, anzi le sole ammirate fra gli arnesi agrari, erano il Polivomero Pasqui e il ravagliatore Certani”.
L’infaticabile Gaetano si spense il 19 giugno 1879 all’età di 72 anni: è attualmente sepolto nella tomba di famiglia al cimitero monumentale di Forlì.
Il prof. Maddalozzo, chiamato a recitare l’orazione funebre, così concluse: “Fu integerrimo di carattere, semplice di costumi, affabile con tutti, pieno d’amore per la famiglia, per i parenti, per gli amici. Egli ha lavorato, riposi. Ma non riposate voi, o giovani, a cui si dischiude balda e promettente la vita; fate tacere nell’animo le inquiete passioni, e raccoglietevi nella santa operosità del lavoro, perché da voi molto aspetta la Patria. Né vi scoraggino gli ostacoli o la sfiducia nelle vostre forze... Ricompensate la sua virtù imitandolo, e nell’estremo addio che gli diamo ringraziamolo per la patria e per la scienza, a cui nobilmente ha servito”.

mercoledì 11 gennaio 2012

L'uomo della birra - Fabbri

Dopo l' Uomo delle stelle ecco L’uomo della birra. In una vicenda reale.

Umberto Pasqui, personaggio reale, storico, in carne ed ossa mette in scena la sua storia. Anche perchè L’uomo della birra’, infatti, è esistito per davvero, addirittura a due passi da casa nostra: a Forlì.

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LETTURE& L'UOMO DELLA BIRRA.. Come Grisham ha ideato ‘L’uomo della pioggia’ e Giuseppe Tornatore ‘L’uomo delle stelle’, così Umberto Pasqui ha coniato ‘L’uomo della birra’. La differenza sostanziale tra i tre 'uomini' sta nel fatto che i primi due sono frutto della fantasia dei loro autori, il terzo invece è stato un personaggio reale, storico, in carne ed ossa. ‘L’uomo della birra’, infatti, è esistito per davvero, addirittura a due passi da casa nostra: a Forlì. Si chiamava Gaetano Pasqui, era un agronomo romagnolo della metà dell’Ottocento, personaggio salito alle cronache nazionali per essere stato il primo a realizzare una birra con luppolo di produzione italiana. Erano anni di grande fervore nella produzione delle bionde nel nostro paese, con alcuni marchi destinati ad arrivare fino ai giorni nostri: la Wuhrer di Brescia (1829), la Peroni (1846), la Menabrea (1846), la Moretti (1859). E tra questi, a pieno titolo, troviamo anche la birra Pasqui (1835), che avrà il merito di trovare una via originale nel mercato di casa nostra. Una novità assoluta nel panorama della penisola, dettata da una necessità contingente: l’importazione di luppolo dalla Germania aveva raggiunto costi talmente proibitivi che si era resa necessaria una via di uscita ‘autarchica’ per ovviare al problema. L’intuizione di Pasqui è quella di coltivare il luppolo selvatico che vedeva crescere lungo le sponde del fiume Rabbi, scelta che nel 1847 vedrà l’arrivo della prima birra con luppolo Made in Italy, anche se le prime soddisfazioni imprenditoriali arriveranno tre anni dopo. L’eco di questa innovazione si fa talmente grande che nel 1856 gli viene consegnata una medaglia in occasione dell’Esposizione provinciale di Forlì, seguita poi da altri importanti riconoscimenti, a Firenze (1861) e Londra (1862). Nulla di strano visto il personaggio: agronomo col piglio dell’Archimede, inventore di attrezzi agricoli, nonché costruttore di modelli di macchine per migliorare la coltivazione dei campi. La sua è una storia tutta italiana, in una terra di Romagna laboratorio di idee politiche e sociali destinate a lasciare il segno su tutta la penisola.  Umberto Pasqui, ‘L’uomo della birra’ (Carta Canta, Forlì, pp. 96, euro 12,00). (www.filippofabbri.net)

sabato 7 gennaio 2012

Piccoli contributi alla storiografia locale

Nel volume "Sobborgo Mazzini" (L'Almanacco Editore), pubblicato nel dicembre 2011 c'è un mio piccolo contributo alle pagine 21 e 22. Si tratta di una scheda biografica per ricordare Renzo Zattoni (1924-2009), artista dello sbalzo e amico di mio nonno Enzo. Il testo è inserito nella sezione "I personaggi del borgo", a cura di Gilberto Giorgetti. Per la stessa serie di volumetti colorati pubblicati annualmente da L'Almanacco per riscoprire i rioni forlivesi, avevo collaborato nel 2009 ("Borgo Cotogni") con un ricordo di mio nonno Enzo, e nel 2010 ("Il Campo dell'Abate") con un breve testo su Pietro Benzoni, l'antiquario noto come "Piretta d' Sufà".