mercoledì 27 luglio 2011

L'uomo della birra - Cronache

Umberto Pasqui, L'uomo della birra

Cartacanta editore, 2010

Articolo pubblicato su www.cronachedibirra.it

Concludo infine con un ultimo libro, di cui i più attenti di voi avranno notato la presentazione in anteprima al passato Birra e Dintorni. In realtà non ne so moltissimo e le uniche informazioni che ho trovato sono consultabili sul sito della casa editrice, Carta Canta. Il volume si chiama L’Uomo della Birra ed è scritto da Umberto Pasqui, discendente dell’agronomo Gaetano Pasqui, protagonista dell’opera e primo in Italia a coltivare luppolo nel XIX secolo, fino ad impiegarlo per la sua birra artigianale.
Ecco come viene presentata la pubblicazione:
L’incredibile storia della più antica “bionda” di luppolo italiano. «Immagini il lettore un giovane uomo sul ciglio di un fiume, teso a raccogliere e studiare ciuffetti di erbaccia.» Siamo a metà dell’Ottocento. Per Gaetano Pasqui, giovane agronomo italiano dotato di una creatività eccezionale non si trattava però di comune erbaccia, ma di luppolo selvatico. In un periodo storico nel quale il luppolo si importava dalla Germania o addirittura dall’America e costava ben 15 lire al chilo, Gaetano Pasqui fu il primo a coltivarlo in Italia e a dare vita alla prima luppolaia nostrana. Ci fu un periodo in cui il Bel Paese sarebbe potuto diventare la patria della bionda più amata di tutti i tempi…
L’Uomo della Birra è acquistabile sul sito di Carta Canta al prezzo di 12 euro.

L'uomo della birra - Gazzette

Umberto Pasqui, L'uomo della birra



Cartacanta editore, 2010

Articolo pubblicato su Romagna Gazzette

Dopo l' Uomo delle stelle ecco L’uomo della birra. In una vicenda reale.

Umberto Pasqui, personaggio reale, storico, in carne ed ossa mette in scena la sua storia. Anche perchè L’uomo della birra’, infatti, è esistito per davvero, addirittura a due passi da casa nostra: a Forlì.

Come Grisham ha ideato ‘L’uomo della pioggia’ e Giuseppe Tornatore ‘L’uomo delle stelle’, così Umberto Pasqui ha coniato ‘L’uomo della birra’. La differenza sostanziale tra i tre 'uomini' sta nel fatto che i primi due sono frutto della fantasia dei loro autori, il terzo invece è stato un personaggio reale, storico, in carne ed ossa. ‘L’uomo della birra’, infatti, è esistito per davvero, addirittura a due passi da casa nostra: a Forlì. Si chiamava Gaetano Pasqui, era un agronomo romagnolo della metà dell’Ottocento, personaggio salito alle cronache nazionali per essere stato il primo a realizzare una birra con luppolo di produzione italiana. Erano anni di grande fervore nella produzione delle bionde nel nostro paese, con alcuni marchi destinati ad arrivare fino ai giorni nostri: la Wuhrer di Brescia (1829), la Peroni (1846), la Menabrea (1846), la Moretti (1859). E tra questi, a pieno titolo, troviamo anche la birra Pasqui (1835), che avrà il merito di trovare una via originale nel mercato di casa nostra. Una novità assoluta nel panorama della penisola, dettata da una necessità contingente: l’importazione di luppolo dalla Germania aveva raggiunto costi talmente proibitivi che si era resa necessaria una via di uscita ‘autarchica’ per ovviare al problema. L’intuizione di Pasqui è quella di coltivare il luppolo selvatico che vedeva crescere lungo le sponde del fiume Rabbi, scelta che nel 1847 vedrà l’arrivo della prima birra con luppolo Made in Italy, anche se le prime soddisfazioni imprenditoriali arriveranno tre anni dopo. L’eco di questa innovazione si fa talmente grande che nel 1856 gli viene consegnata una medaglia in occasione dell’Esposizione provinciale di Forlì, seguita poi da altri importanti riconoscimenti, a Firenze (1861) e Londra (1862). Nulla di strano visto il personaggio: agronomo col piglio dell’Archimede, inventore di attrezzi agricoli, nonché costruttore di modelli di macchine per migliorare la coltivazione dei campi. La sua è una storia tutta italiana, in una terra di Romagna laboratorio di idee politiche e sociali destinate a lasciare il segno su tutta la penisola.  Umberto Pasqui, ‘L’uomo della birra’ (Carta Canta, Forlì, pp. 96, euro 12,00). (www.filippofabbri.net)

lunedì 25 luglio 2011

Un po' l'ora notturna - Mettica

Umberto Pasqui, Un po' l'ora notturna


Recensione di Paola Mettica
(Pubblicata sul settimanale il Momento del 6 agosto 2008)

Una manciata di novelle brevi, stravaganti, nate da un'immaginazione "giovane", quattordici racconti che scorrono grazie ad uno stile suggestivo e facile che lascia spazio alla fantasia senza mai essere banale.
Storie sospese tra il magico e il fantasmagorico, il quotidiano e il surreale in cui i personaggi si staccano dal contesto di apparente normalità per entrare in uno spazio diverso, dove vivono situazioni inaspettate e sorprendenti.
Nei racconti di Pasqui i protagonisti sono personaggi dai nomi strani, bambini, adulti, ma anche oggetti, piante, perfino ninfe che non si accorgono che la dimensione del reale si confonde presto con la dimensione del sogno, pur senza perdere la naturalezza della vita che scorre.
E la lettura diventa veloce, e incuriositi, si vuole capire cosa succede, senza rendersi conto che il filo logico alla fine si è rotto, il gioco è finito, non esiste razionalità evidente.

sabato 23 luglio 2011

Gli strani casi del Principino Vanostemma - Giornalisti

Umberto Pasqui, Gli strani casi del Principino Vanostemma


Articolo pubblicato sul n.74 (aprile 2009) della rivista "Ordine Giornalisti Emilia-Romagna" a pag.79
Una storia che inizia con un omicidio misterioso, di cui sarà difficile trovare il responsabile. Ma l'enigma da risolvere è soltanto uno degli elementi centrali della vicenda. Umberto Pasqui, autore di narrativa e curatore di libri per ragazzi, con Gli strani casi del Principino Vanostemma catapulta il lettore in un giallo al contrario, nella vita di un principe che decide di trasferirsi in una cisterna, lontano dalla famiglia e dagli amici, per una sorta di scommessa con se stesso. Avrà a che fare con un fulmine che parla, una fornaia volante, una zanzara petulante e delle nutrie dispettose: personaggi che lo accompagneranno fino alla scelta finale.

Gli strani casi del principino Vanostemma - Pugiotto

Umberto Pasqui, Gli strani casi del Principino Vanostemma

Maremmi Editori - Firenze Libri, 2008


Recensione di Andrea Pugiotto
(Pubblicata sulla rivista Poeti nella Società - Anno VIII - Num. 43)

Da quando Italo Calvino, morto giusto vent'anni fa, ci narrò le strane vicende di Cosimo Piovasco, Barone di Rondò che, in rotta coi genitori, passò la vita a rampare sugli alberi, non era più capitato un libro altrettanto peregrino e surreale quanto questo testo di Pasqui, che avrebbe potuto benissimo intitolarlo Il Principe nella cisterna. Il che avrebbe forse stuzzicato vieppiù la curiosità del lettore.

Un nobiluomo ultraquarantenne, con una moglie, Clementina, e un figlio, Vologeso, soprannominato da vicini e conoscenti Il Principino, in tono dispregiativo (ma principe lo è davvero), decise di rinchiudersi in una cisterna di materiale trasparente, color arancione, per motivi non molto chiari (neppure a lui stesso), poco tempo dopo che un delitto era stato consumato in zona.
Così Robertino Consalvo Maria Vanostemma vive, per circa un mese, chiuso nella cisterna che ha fatto mettere quasi al bordo d'una strada carrozzabile, lungi alquanto dalla propria casa, ricevendo visite (spesso importune per lui) da uomini e bestie, amici e vicini, curiosi e/o preoccupati per la sua sorte. In questi incontri-scontri, più verbali che maneschi, il Principino ha modo di confrontarsi con gli altri, di ascoltare storie, di ricevere consigli (non richiesti) e di riflettere sulla propria ed altrui condizione. Finchè...

Un libro davvero curioso e accattivante, nel suo genere e che, in apparenza, non sembra seguire un percorso ben definito, un filo logico che prevede una meta cui pervenire.
Pur non muovendosi affatto (o quasi) dalla sua casa di nuova concezione, Robertino viaggia molto, attraverso le parole sue e degli altri, alla ricerca della Verità.
Una verità tutta sua, che esclude il contesto in cui vive, ma che deve però scontrarsi con la Verità oggettiva del mondo che lo circonda e che lo richiama, con lusinghe o con minacce, ai suoi doveri: quando si ha moglie e figlio non si può giocare all'eremita e gettarsi tutto alle spalle, come un fazzoletto usato!
Ma queste sono considerazioni facili da farsi. Come sempre, ogni lettore è il risultato di esperienze diverse da quelle di tutti gli altri. Pertanto, mettervi a parte delle mie congetture personali è del tutto inutile.
Fatevi voi stessi un'idea dello strano mondo del Principino Vanostemma. Ci sarà da ridere! O da piangere. O da riflettere. Chissà...

Gli strani casi del principino Vanostemma - Ricci

Umberto Pasqui, Gli strani casi del Principino Vanostemma


Maremmi Editori - Firenze Libri, 2008


Recensione di Rosanna Ricci
(Pubblicata sul quotidiano "Il Resto del Carlino" del 23 giugno 2008)

Vanostemma, che vita fantastica

SE IL LIBRO di Umberto Pasqui ‘Gli strani casi del principino Vanostemma’ fosse un quadro (come lo è quello di Enzo Pasqui riprodotto nella copertina) potremmo definirlo surreale perché intreccia, con straordinaria carica fantastica, il reale e ciò che può essere il prodotto solo di un’immaginazione che vola fra le nubi dell’inverosimile e del magico.
Partiamo dal nome del principino (che poi principe non è) di Malmissole e Roncadello: Robertino Consalvo Maria Vanostemma, nome complesso e lontano da quelli che possono far parte di una fiaba per ragazzi. E infatti non è una fiaba, ma una storia che, in certi momenti, disorienta volutamente il lettore perché originale e di sicuro fuori dagli stereotipi di un genere fantastico.
All’inizio c’è un omicidio, ma l’assassino non ha la pallida idea di essere stato lui. E già qui cominciano a farsi strada dubbi ed interrogativi. Segue poi la decisione del principino di abbandonare moglie e figlio ( anche lui dal nome strano, Vologeso) per vivere dentro una cisterna, di vetroresina collocata in un fossato/canale. A far visita allo stizzoso e insofferente abitante si alternano una fornaia che oltre a portargli i panini ha le ali e può volare verso il cielo in cui conduce un povero intristito e malconcio fulmine che non ha più la forza di salire in alto; due coniugi che cercano di riportare Robertino coi piedi per terra, ossia abbandonare stranezze degne di uno psicopatico.

NON MANCANO dialoghi e patti con nutrie che si introducono nella cisterna e chiedono cibo al principino e zanzare che con ragionamenti che non fanno una piega, spiegano l’importanza che ha per loro succhiare un po’ di sangue umano. Si tratta di una storia fra fiaba e gioco in cui, fra sogghigni, incisi e qualche fugace immagine concreta, non si sa più fino a che punto l'autore voglia provocare o divertire e in cui ogni stranezza viene puntualmente proposta come qualcosa di logico e curiosamente in bilico fra realtà e assurdo. Un teatro, dunque. Umberto Pasqui da burattinaio, manovra i fili dei suoi personaggi e fa compiere loro le più impensate ed originali acrobazie di dialoghi e di movimenti. La storia si dipana con un linguaggio asciutto, rivolto all’essenziale con espressioni ( e anche terminologia) sempre al limite fra serioso e improbabile.

http://www.ilrestodelcarlino.it/forli/2008/06/23/98940-vanostemma_vita_fantastica.shtml

Un po' l'ora notturna - Andreatta

Umberto Pasqui, Un po' l'ora notturna


Edizioni Kimerik, 2006

 

Recensione di Emanuela Andreatta
(Pubblicata sul quotidiano "La Voce di Romagna" del 28 agosto 2006, pag. 23)


Ma come sono fortunate quelle zollette di zucchero scampate alla morte per annegamento nel caffè…

“Raramente nella sua vita si era sentito infelice (ultimamente mai) ed in quei momenti lo era perché insoddisfatto: voleva risolvere il mistero, ma non sapeva come riuscirvi, o non trovava il coraggio né la forza per compiere il passo decisivo (…). Del suo stato s’accorse soltanto una tortora che gli si avvicinò mormorandogli parole di conforto”. Queste poche righe sono tratte da uno dei testi che compongono “Un po’ l’ora notturna… ” (Kimerik Edizioni), una raccolta di racconti – quattordici in tutto, quattro dei quali inediti – di Umberto Pasqui, giovane collega de “La Voce” con una laurea in giurisprudenza nel cassetto e una grande passione per la scrittura, che egli da tempo riversa, oltre che nelle pagine del giornale, in alcuni periodici letterari di cui è ricca la nostra regione. Dalla citazione emerge immediato uno dei caratteri distintivi della vena narrativa di Pasqui: l’assoluta naturalezza con cui, nelle sue storie, il mondo degli umani s’interseca – o s’intreccia, si sovrappone quasi – con quello degli animali e degli oggetti solitamente inanimati. Accade perciò che l’“io narrante” di un racconto sia uno specchio, sgomento per il fatto di non essersi mai potuto realmente vedere; oppure che una fanciulla si ritrovi kafkianamente trasformata in una succosa pesca solo perché ne ha annusato il profumo; o, ancora, che ad un’altra ragazza capiti di venir rimproverata dagli uccelli, dalle onde e dalle nuvole per aver inconsapevolmente sottratto loro il vento, perdutamente innamoratosi del suo dolce viso. Dialoghi arguti, atmosfere sognanti, sottili ironie – quando non esilaranti invenzioni, come nel caso del racconto “La dolce evasione”, in cui protagoniste sono alcune zollette di zucchero, ognuna individuata con tanto di nome classicheggiante, fortunosamente scampate alla morte per annegamento nel caffè – pervadono le pagine di Pasqui, surreali anche quando s’avventurano nei territori dell’ansia o dello spavento. Fanno venire alla mente gli universi immaginifici delle nostre infanzie, quando non sorprendeva affatto che il cielo avesse lo stesso colore di una cravattina indossata per la Prima Comunione (e che perciò il ricordo di tutto quell’azzurro rimanesse nella memoria così indelebile da valicare anche i confini del tempo se per caso quell’accessorio rispunta dal fondo di un armadio). Soprattutto, rievocano i soggetti dei tanti dipinti, magrittiani nel segno e nello spirito, realizzati dal nonno di Umberto, Enzo Pasqui, un apprezzato artista che di professione ha però fatto tutt’altro (anche l’inventore meccanico): un tratto di famiglia, insomma, accomuna gli esiti figurativi dell’uno a quelli letterari dell’altro. Con la poesia, ora ilare ora malinconica, che entrambi riescono sempre a sfiorare.

venerdì 22 luglio 2011

Un po' l'ora notturna - Argnani

Umberto Pasqui, Un po' l'ora notturna

Edizioni Kimerik, 2006


Recensione di Davide Argnani
(Pubblicata sulla rivista Confini - Num. 29 - Maggio/Agosto 2008 - pag. 61)

Umberto Pasqui è un giovane scrittore imprevedibile. Alcuni anni fa, quando scriveva questi racconti, sosteneva che "ogni giorno, verso le due del pomeriggio, si consumava la fine del mondo". E lo diceva proprio con quella dolce evasione tipica dei giovani ma già smaliziata e colma di ironia. Un'ironia che spesso riprende il comportamento umano nella sua più semplice realtà, quella del vivere quotidiano, ma vista dallo scrittore, nel senso di una metamorfosi del comportamento attraverso i tic, la sonnolenza e quell'immaginario collettivo della finzione.

Il racconto Mal comune mezzo gaudio inizia così: "Capita spesso che qualcuno, quando viaggia in treno, si dimentica qualcosa sulla carrozza" e via una bella storia strampalata ma dai toni realistici, come anche in Adelaide controvento: "Ogni giorno della nostra vita è arricchito da incontri con le tante persone che vediamo attorno a noi". Tutto vero, ma il narratore, dopo l'iniziale rappresentazione realistica se ne va per i fatti suoi, con la fantasia ricca e ben colorata che lo trasporta su altre storie, altre fantasie iperboliche, lungo il cammino di personaggi originali che non lasciano in pace il lettore, il quale è costretto a un continuo raffronto con i pensieri e le storie dei personaggi tanto bizzarri. Una scrittura e un modo di raccontare che Pasqui sa ben controllare e inventare.

Un po' l'ora notturna - Topa

Umberto Pasqui, Un po' l'ora notturna

Edizioni Kimerik, 2006


Recensione di Pacifico Topa
(Pubblicata sulla rivista Omero - Anno VII - Num. 29/30 - pag. 11)

Umberto Pasqui, con il titolo Un po' l'ora notturna ci racconta fantasiose storie che volteggiano tra l'immaginifico ed il fiabesco, usando un linguaggio limpido e vivace adeguato a chi ha dimestichezza con la nostra lingua.
Il volume, suddiviso in fantasmagorici racconti, propone favolistiche situazioni, assurde personificazioni, trame che solo una fantasia assai spigliata potevano concepire.
E' da rilevare che al fondo dei racconti c'è, più o meno palesemente, una morale idonea ai principi etici della nostra realtà.

I "quadranti" del primo racconto propongono una successione di eventi, sempre assai fiabeschi, che fanno pensare ad un cartone animato in cui i protagonisti seguono le vicende per poter trovare, alla fine, una soluzione plausibile. E' una sequela di avvenimenti tutti consequenziali che offrono spunti di interessante psicologia umana trasbordata nel fiabesco.
I capitoli che seguono hanno tutti questo clima favolistico, perché c'è trasformazione di protagonisti, capovolgimenti di situazioni imbarazzanti che si risolvono nelle maniere più imprevedibili.
Non mancano momenti di panico, scene apocalittiche come quella in cui si preconizza la distruzione del genere umano, ma in questi casi, alla fine viene trovata una via di salvezza.

Analizzando questa serie di narrazioni si ha la sensazione che l'autore voglia più divertire che problematizzare, dato che le tesi sostenute rasentano il parossismo fanciullesco.
Dalla lettura di Un po' l'ora notturna si evince, non solo la ricchezza fantasiosa dell'autore, ma anche piacevoli spunti osservativi che suscitano curiosità.
Questo lavoro lo si potrebbe definire un buon compagno di lunghe fredde serate invernali, quando, attorno al fuoco, i nostri nonni ci intrattenevano con fiabe fanciullesche.
Non posso trascurare anche quel pizzico di filosofia sciolta che s'interseca nei racconti conferendo agli stessi quell'oculato senso di ponderazione necessario per fare la differenza tra il vero e l'inventato, fra il logico e l'illogico.
Insomma, si può ben parlare di un gradevole passatempo che viene proposto senza eccessive pretese, indirizzato, non solo ai più giovani, ma che a chi, pur avendo l'età matura, vuole ripiombare nel clima affascinante della favola, non più immaginata, ma personalizzata, viva, piacevole!


Odoacre sconosciuto - Topa

Umberto Pasqui, L'Odoacre sconosciuto

Prospettiva Editrice, 2002

Recensione di Pacifico Topa
(Pubblicata sulla rivista Omero - Anno IV - Num. 20 - pag. 6)

Umberto Pasqui, con il racconto "L'Odoacre sconosciuto", ci trasporta in un mondo reale e fiabesco ad un tempo, e, con le quindici suddivisioni, narra le avventure di un appassionato navigatore: Odoacre, di una sua innamorata: Livia, di un gheppio parlante, Caracalla e di altri immaginari figuri che vivacizzano la trama.
All'origine dell'evento c'è l'astiosità del protagonista con le sorelle, raffiguranti l'eterno contrasto dell'incomprensione famigliare.
Pur di fuggire da questo clima insostenibile Odoacre s'avventura con la barca: Teodolinda, e incontra la regina Domitilla, discendente regale di una nobile casata; un casta assai variegato di personaggi che si disimpegnano alla meno peggio.

Leggendo questo racconto si veleggia tra realtà e fiaba, il tutto proposto con un linguaggio d'immediata acquisizione. Lo spirito di avventura predomina, ma è una fantasia ancorata alla realtà, gli stati d'animo sono quelli abituali, le soluzioni, spesso, sconcertano per l'originalità. Luoghi immaginari si avvicinano ad altri reali: sebbene possa parlarsi di trama inventata essa ha sempre agganci con la realtà, anche nelle problematiche dialogiche ci sono elementi che molto corrispondono ad un modo di pensare comune.

Odoacre rappresenta lo spirito avventuroso, il temerario, che non ha paura di nulla e che vuole raggiungere il suo obiettivo: fuggire dalla tediosità di due sorelle petulanti, atturno a lui Livia, l'eterna innamorata che, per il suo affetto, condivide le avventure di Odoacre, superando tutti gli ostacoli.
Altri protagonisti sono animali o figure femminili con capacità extraterrestri in grado di sovvenire alle urgenze dei protagonisti.

Inutile dire che l'invenzione ha un ruolo determinante in questo racconto, Umberto Pasqui si propone come personaggio eclettico che padroneggia linguisticamente il percorso narrativo, traendone anche sagaci osservazioni psicologiche. Non mancano spunti di moralità, specie quando le circostanze lo richiedono.
Si tratta di un romanzo che non ha certo esplosioni eclatanti, ma scorre delicatamente su una tonalità linguistica di notevole efficacia dialogica.
La descrizione fantasmagorica di luoghi inesplorati, immaginari come "L'isola delle campane", quella delle "genziane", la presenza di animali parlanti come il "lombrico", insomma ce n'è per tutti i gusti.
Odoacre e Livia riusciranno a tornare fra gli umani, sorpassando una misteriosa porta. E' un finale, tutto sommato, gradevole che conferma come realtà e la fantasia possono convivere senza nuocersi a vicenda.

Insalata di vento - Castellani

Umberto Pasqui, Insalata di vento



Edizioni Kimerik, 2005

Recensione di Fulvio Castellani
(Pubblicata sulla rivista Omero - Anno VI - Num.26 - pag. 11)

Già noto ed apprezzato scrittore, Umberto Pasqui con "Insalata di vento" si tuffa nel romanzo; e lo fa usando una grafia quanto mai personalizzata, nuova in certi approcci e senz'altro efficace.
C'è un mescolarsi di atmosfere e di interrogativi, di momenti legati alla vita e al futuro, ad intercalare una storia dalle tinte forti.
C'è, come si può dire, un piacevolissimo gioco ad intarsio dal quale fuoriesce la grande sensibilità di Umberto Pasqui ed il suo sapersi calare nei perché della realtà trasfigurandola, abbellendola e contemporaneamente mettendone a nudo emozioni, voli alti, intrecci assai spesso inattesi e solo virtualmente non legati alla quotidianità.
Il tentativo di sfuggire alla noia da parte del giovane Dante mette in circolo delle insolite situazioni e delle trasgressioni che, poi, alla fine lasciano in lui un vuoto di certezze.
La scrittura di Umberto Pasqui, come dicevamo, è suadente e vivace, riesce a catturare ed a coinvolgere proprio per quel suo sapiente modo di orchestrare il certo e l'incerto, i movimenti di scena e l'irrealtà (singolare, al riguardo, l'uscita dalle stanze sotterranee a cavallo dei prosciutti da parte di Giuturna, Virtù, Dante e Grossanuca).
Una prova, questa di Umberto Pasqui, che conferma perciò le sue doti di attento manovratore del fantastico e del reale, nonché la sua innata predisposizione a veicolare la sensazione di vivere il più possibile il sogno in veste di realtà e la realtà con i paludamenti del sogno.

L'ombra delle stelle - Carocci

Umberto Pasqui, L'ombra delle stelle


http://www.osservatorioletterario.net/pubblicazioni.htm

Recensione di Marzia Carocci
(pubblicata sulla rivista Poeti nella società, Anno IX - Num. 46/47 - pag. 16)

Umberto Pasqui si avventura, con eccezionale proprietà semantica, a proiettarci in una fiaba che altro non è che simbiosi di vita dove si estende l'eterna lotta fra il bene e il male, la forza e la debolezza, la sopraffazione e l'arrendevolezza. Una prosa dalla fantasia e la genialità di una penna che sa come convincere il lettore, che sa quali "tasti" toccare per emozionare e incuriosire, elementi d'indiscussa essenzialità in un buon racconto.
L'autore ha la capacità e la creatività di riuscire a dare origine a personaggi epici che si presentano fra le pagine e che prendono forma e movimento.

Un viaggio magico, in altri luoghi, altri pianeti, altre terre dove la speranza sarà il filo conduttore a tutto il racconto. Ogni personaggio avrà una particolarità, un carattere, delle possibilità e occasioni, una trama ben congeniata. Lottare per un mondo migliore, per sconfiggere l'ingiusto, lo sbagliato, l'errore; combattere per un ideale diventerà ragione di vita ad ogni costo.

Umberto Pasqui è pienamente riuscito a trascinare il lettore in ambienti, in epoche, in situazioni incredibili, dove però si rasenta il vissuto stesso dell'uomo che ha bisogno di sicurezza, di tranquillità e di speranza. Lotte fra guerrieri corazzati, perfide belve, mostri e innocenti, battaglie delle quali "sentiremo" il rumore delle spade, le urla, e "vedremo" le sommità di altri mondi, le nebbie dense, e alieni e pianeti e serpenti alati.
Una lotta alla quale assisteremo con la mente, della quale non ci dimenticheremo, una battaglia che ci farà respirare solo alla fine dell'avventura tutta da leggere e da "vivere".

http://www.poetinellasocieta.it/

giovedì 21 luglio 2011

Trenta racconti brevi - Diedo

Umberto Pasqui, Trenta racconti brevi

Recensione di Emilio Diedo
(Pubblicata sull'Osservatorio Letterario Ferrara e l'Altrove - Anno XV, Num. 81/82, pag. 48)

Il poco più che trentenne dottore in legge Umberto Pasqui, autore del florilegio narrativo in disamina, grazie al contenuto, trenta miniracconti, mediamente d'una pagina e mezza, sa rendersi interprete d'una letteratura assolutamente sui generis, ricca di fantasia.
Ogni racconto s'apre al lettore come il portone d'un misterioso, spesso inquietante maniero, alla mercede d'un incantesimo al quale soggiace una sorprendente realtà-irrealtà.
La tipologia narrativa di questo giovane scrittore ha già suoi specifici contemporanei ed assai illustri, predecessori, anche qui in Italia.
Il riferimento più spontaneo e diretto porta a Carlo Cassola, ai suoi romanzi Il taglio del bosco, La morale del branco, ma soprattutto L'uomo e il cane. Ancora più vicino, in quanto più attagliato, è il rapporto di Umberto Pasqui con Italo Calvino. Immediato è il ricordo ai suoi celeberrimi Racconti fantastici, Il cavaliere inesistente, Il visconte dimezzato, Il barone rampante.
Qual è il particolare di questi narratori?
E' un qualcosa che sta del tutto fuori dalla convenzione.
Neppure sono scrittori di favole, perché della fiaba ne mancano determinati presupposti: l'atemporalità e la delocalizzazione (la storia-non storia ed il luogo-non luogo). Mentre è presente, nella trama dei due autori, l'incongrua personalità degli interpreti. Anzi, è esattamente con quest'ultimo requisito che si sono giocati la loro reputazione letteraria.

Nello specifico, venendo al nostro giovane scrittore nato a Bologna e residente a Forlì, nei Trenta racconti brevi che ci ha proposto, peraltro già singolarmente pubblicati o nella Rivista o nei Quaderni della stessa editrice Olfa, anch'egli s'inserisce in un siffatto percorso. Certo, vi sono delle piccole sfumature che ne danno un'impronta un tantino diversa, ma non molto discordi dagli elementi dei due succitati autori.
Il risultato è, anche per Pasqui, comunque un narrato parossistico se non paradossale, grottesco, spesso inverosimile. Si differenzia da Cassola e Calvino, a parte la sua sfolgorante sinteticità (alcuni racconti misurano appena una ventina di righe), in primis perché va oltre quell'incongrua personalità degli interpreti che è invece la loro precipua caratteristica. Di fatto l'incongruità dei personaggi di Pasqui talvolta s'arrovescia, talora facendo sorprendere lo stesso interprete principale del racconto, dando voce ad animali, creature umano-mostruose, se non addirittura alle cose inanimate (persino al lavandino).

Quanto ai suoi fantasiosi animali, gli ubiqui Cuordarancio (un marinaio dotato di chele - modo indiretto di descrivere un granchio, ittica umanizzazione o antropomorfa mistificazione, non si sa) e Topogatto (creatura-ossimoro), nonché un "paguro poeta" assumono la parte maggiormente esistenzialistica del linguaggio di Pasqui, che dai fatti concreti, sia pur improbabili, sa dilatarsi all'astratta meditazione; esibendo una specie di metafisica della ragione. Di contro, la sorta di sirenidi (uomini-anguilla) e di uomini-chimera potrebbe allegorizzare la parte più meschina della società umana. Quella parte, viscida, malata di potere e/o d'ambizione che rovina l'armonia e la serenità della scultore espressione di bellezza dell'essere umano, al quale il Padreterno ha fatto beneficio, al cospetto della totalità degli animali.

La trama, anzitutto, naviga per un arcano spesso omissivo di giustificazioni ed approfondimenti comportamentali e/o fattuali, che, già di per sé, eleva l'interesse del lettore, ponendolo sul piano d'un potenziale co-scrittore extratesto, che vuole andare alla ricerca del contenuto mancante.
Quasi tutti i raccontini sono permeati altresì d'un altro tipo di latente, subdola, attraente misteriosità, immischiata, talvolta, ad un senso di macabra ironia, anche con presenza di cadaveri.
La morte, quando sia parte integrante del racconto, viene smitizzata, scarnificata dal suo più tetro significato, assurgendo a semplicistico evento ciclico, conclusivo dell'esistere terreno, a volte conformandosi ad utilitaristico mezzo d'altrui sussistenza. Facendosi in sostanza cibo per altre favolose creature.

I luoghi, pur mancando della necessaria qualificazione fabulistica, in quanto concretamente collocati, analogamente a certi contestuali personaggi, sono connotati in una realtà tale solo nella convizione dell'autore. Personaggi e luoghi inquadrano, nella loro combinazione personale, un limitato grottesco, appena al di fuori del quotidiano, rappresentando, semmai, un abbozzo d'utopia.

In definitiva quella "ragion pura" di kantiana menzione s'allarga a dismisura verso l'acquisizione del limite del "noumeno", integrando alla cogenza del verosimile un'insospettata quota dell'"inconoscibilità" del più probabile "fenomeno".
Pasqui conosce Kant e non può che esserne, magari anche inconsciamente, influenzato. Ma, se conosce la teoretica kantiana, egli conosce bene anche quella hegeliana, la "filosofia degli opposti". Troppo evidenti sono le antitesi dell'essere negli ossimori a tutto campo, presenti in pressoché tutti i racconti!

Le suddette premesse, che permeano la struttura concettuale della parola di Pasqui, sono, per giunta, sostenute da un'ottima capacità d'espressione e, direi, da una notevole, quotata, portata d'un proprio, caratterizzante, stilema.
Sono rari i momenti in cui si possa rilevare calo di tenuta.
Viceversa, sono moltissimi i passi in cui la sottigliezza e l'eloquenza dell'adeguata, opportuna parola danno ulteriore contributo d'interesse ai relativi brani.
http://www.osservatorioletterario.net/
http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=521412

Trenta racconti brevi - Rota

Umberto Pasqui, Trenta racconti brevi

Recensione di Sara Rota
(Pubblicata sull'Osservatorio Letterario Ferrara e l'Altrove - Anno XV, Num. 79/80, pag. 72)
 
Attraverso questo libro l'autore Umberto Pasqui ci porta a vagare nel suo mondo fatto di brani emozionanti più o meno brevi.
La maggior parte dei racconti ha uno stampo surreale, quasi magico; il linguaggio che li caratterizza è semplice, con un qualcosa che sa di antico, quasi l'autore appartenesse ad un'epoca molto più antecedente alla nostra.
Leggendo "Trenta racconti brevi" non si riesce a pensare ad un qualcosa di già letto o scritto, talmente tutto è scritto con semplice originalità.
"Trenta racconti brevi": un libro che non si sofferma sulle realtà degli oggetti protagonisti, ma sull'immaginazione che essi evocano.
"Trenta racconti brevi": un libro che colpisce per la sua originale bellezza e descrizione della quotidianità.

Trenta racconti brevi - Pederiali

Umberto Pasqui, Trenta racconti brevi

Commento di Giuseppe Pederiali
(18 settembre 2010)


Caro Pasqui, ho letto i racconti e mi sono piaciuti. Anche se alcuni non sono definibili dei veri e propri racconti, semmai delle considerazioni, delle annotazioni, delle pagine più saggistiche o di diario che delle vere e proprie narrazioni. Interessante cimentarsi con il racconto breve, poco frequentato nel nostro paese con qualche eccezione, vedi la bellissima raccolta "Navi in bottiglia" di Gabriele Romagnoli. Purtroppo, nonostante il nostro sia il paese di Boccaccio, Pirandello e Soldati, gli editori non amano i racconti: li considerano poco commerciali. Figuriamoci i racconti brevissimi! Per questo motivo il mio "in bocca al lupo" vale il doppio. Tanti cordiali saluti,
Giuseppe Pederiali
http://www.giuseppepederiali.it/