venerdì 7 maggio 2021

Buio presto

Questa volta l'ho combinata grossa: appena pubblicato il racconto (si può chiamare così) Buio presto, ecco cosa ne pensa l'amico giornalista Andrea Emmanuele Cappelli che, assai generosamente, commenta con questa lusinghiera prefazione: 
Se a una prima lettura questo racconto pare descrivere in maniera distopica un futuro a tinte fosche, dove persino l’estinzione dell’umanità - di quel che ne resta, per meglio dire - avviene su base progettuale, organizzata razionalmente con un distacco che nega agli ultimi esseri senzienti l’epica oscura di un’Apocalisse, a un livello più profondo ci si accorge che la storia parla del presente, di un presente già in atto che con la sua forza centripeta sconquassa le fondamenta di ogni prospettiva temporale, storica, sociale, religiosa: umana, infine. 
L’orrido di un monte è un portale che conduce a luoghi distanti, come gli stagni della grande foresta che fanno da sfondo al primo racconto delle Cronache di Narnia. Tempo e spazio sono prima compressi e poi dilatati a dismisura, producendo uno squassamento che annulla i contorni delle cose e le classificazioni (convenzionali, certo, ma necessarie) che fino a oggi hanno garantito all’umanità un riferimento da cui partire, una prospettiva sicura da cui analizzare la propria storia, individuale e di specie. 
Il risultato di questo ‘reset’, messo in atto con l’ausilio delle tecnologie più avanzate, è un big-bang al contrario, dove l’universo in perpetua espansione ripete il percorso inverso fino a comprimere tutta la materia esplosa in un singolo punto: ecco irrompere in questo eterno presente personaggi dai nomi (e dallo spirito) antichi (Nicodemo, Benilde, Eviardo), figure allegoriche dall’aspetto ferino (Rodiola di Valdraga, simile a una lonza), prodigiose metamorfosi, creature uscite dai ‘bestiari’ medievali e dagli avventurosi resoconti di viaggio di epoca tardomedievale e moderna. 
L’intera Tradizione, intesa come complesso delle conoscenze storiche, religiose, sociali, politiche e persino scientifiche dell’umanità irrompe sulla scena, imputato principale del processo che ne prevede la condanna definitiva. Eppure, nonostante la tecnocrazia instaurata da un’élite disincarnata abbia condannato al rogo l’umanità storicamente definita, i prodotti della tecnologia più avanzata hanno nomi etruschi: la tradizione torna a filtrare da ogni anfratto. L’essenza del post-umano resta comunque umana, troppo umana? 
Difficile stabilirlo: non ritengo questa la sede adatta per affrontare un tema così vasto. In questo mio breve scritto non ho voluto neppure esprimermi sullo stile, la struttura, lo spessore artistico e quindi estetico del racconto: non ne ho le competenze, ragion per cui non è questo il punto di vista che ho voluto utilizzare per introdurre la storia che vi apprestate a leggere. 
Questo breve racconto, sviluppato in nove capitoli, non è neppure una ‘storia ispirata dal coronavirus’; di racconti di quest’ultima fattispecie ne sono già usciti tanti e non ne abbiamo letto nessuno (d’altro canto letto uno letti tutti, ça va sans dire). Il nucleo profondo della storia descrive un’umanità prossima a effettuare un’irreparabile e definitiva transizione: se in nome del progresso si fa strame della tradizione (Occidentale ma non solo), cosa resta dell’essere umano? Una società dominata dalla tecnologia applicata alla scienza e dal capitalismo nel suo stadio più avanzato, una società senza più morale rappresenta la fine dell’umanità, non più meritevole neppure del picco lirico dell’Apocalisse? Il quesito resta aperto, come in ogni storia che si rispetti. 


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