Come di consueto, nell'attesa del giorno in cui questi volumi saranno letti, raccolgo i racconti scritti da me di tre anni in tre anni. Ecco dunque l'ultimo della serie: Diciannove Ventuno. Vi si legge una quarantina di testi di vario genere, pubblicati in diverse antologie. Il periodo in questione (2019/2021) è stato piuttosto fecondo di scritti, quindi il volume ha un numero di pagine superiore ai precedenti. Non sono compresi racconti "a parte", come Il bambino rosso o Buio presto. In copertina, come per gli altri della serie Gli anni si vede uno dei miei cappelli. Questo è il trilby misto lana color caffé "Barber" della marca americana Goorin Brothers, comprato nel 2019. L'antologia è disponibile nella versione cartacea o in quella elettronica.
A questo punto, incollo la prefazione scritta da Simona Palo.
Lo confesso: sono un po’ emozionata.
Ho letto tante prefazioni ai libri più diversi, pensando che fosse facile, in fondo, scrivere qualcosa che
attirasse a leggerli. Invece no, non è per niente facile! Non lo è perché non sei un lettore come tutti gli altri, entri nel mondo altrui in punta di piedi, investito da una grande responsabilità.
O almeno così mi sono sentita io alla ‘chiamata’ di Umberto. Ho sentito l’onore di avvicinarmi al lavoro e all’impegno di un altro autore che mi aveva affidato una parte di sé, frutto di tempo e studio, perché altro non poteva fare. Chi scrive non ha scelta, ha questa condanna che lo segna e verso la quale non può fare altro che dedicarsi alle storie che ha in testa.
E Umberto ne ha tante, davvero! Tanti sono i personaggi che vivono in questi racconti brevi ma molto densi di fatti, notizie e descrizioni, come numerose sono le situazioni che nascono e si sviluppano ‘a km zero’.
Racconti più o meno brevi, sì, ognuno a nascondere una piccola perla che nasce di certo dalla profonda
conoscenza della città in cui è nato e vive l’autore, la sua, la nostra Forlì.
E quanti sono i protagonisti di vicende incredibili! Penso a Maria Tonsilla che richiama alla festa del
quartiere di S. Biagio, una piccola fiaba ambientata a San Sopore in cui ritroviamo la protagonista alle prese con gente che proprio con sopporta. Chi di noi non vorrebbe, ogni tanto, poter sfregare come lei ‘due balotte’ in tasca per far sparire chi gli sta antipatico?
E come non amare Giambazzone, il tipico pallonaro professionista che appioppa consigli non richiesti? Ogni bar, ogni luogo di lavoro o gruppo di amici ne ha uno, non si sfugge al fenomeno che sa tutto e ha fatto tutto prima e meglio degli altri.
In questa raccolta, accanto a storie in cui la realtà si mescola all’assurdo, non manca però quel tocco
poetico e un po’ malinconico dato dal ricordo e dalla voglia di ricordare quello che non c’è più o che
potrebbe, forse, ancora essere.
Succede così al termine del racconto che prende il titolo da una parola d’ordine (sembra il nome indiano di un capotribù): Banana che cade.
Il protagonista si ripete che niente di ciò che aveva sognato si era poi realizzato nella vita per poi trovare, nel finale, lo slancio per dire che sì, c’è ancora tempo. Come a dire, in un ‘alternarsi di vicende più o meno grottesche, alcune tristi, altre divertenti, che c’è sempre il tempo per continuare a sognare e sperare nel cambiamento.
Come il geco Maurizio, che intrufolandosi tra le pagine dei giornali impara a leggere e finisce per trovare, nel serpente a due teste con cui condivide l’appartamento, un’amica.
C’è ancora tempo per leggere il libro sulle ‘Cronache del Poi’, ancora tempo per vederle tramutarsi nelle ‘Cronache del Noi’ e sorprenderci per tutta la magia che anche le vite più ordinarie possono nascondere.
E tra un momento dedicato al sorriso o alla critica di una certa società, non si può non tornare con il potere della parola scritta ai giorni in cui si è stati felici, tra le pareti di una casa dei nonni a Villafranca che chiede solo di non essere dimenticata.
Allora preparatevi, prendetevi tutto il tempo perché i racconti lo richiedono e via, si parte…buona lettura!
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