domenica 15 gennaio 2012

L'uomo della birra - Voce

Testo dell'articolo pubblicato su La Voce di Romagna del 13 settembre 2010

L'uomo della birra”, ovvero un'indagine sulle origini romagnole del nettare di Cerere. Il saggio, scritto da Umberto Pasqui e pubblicato dalla casa editrice forlivese CartaCanta, ripercorre la vicenda dimenticata di Gaetano Pasqui, ascendente dell'autore, artigiano, agronomo e imprenditore, primo mastro birraio romagnolo. In meno di cento pagine si riscopre questa storia, svoltasi nei dintorni di Forlì, nella casa di famiglia ove non mancavano le stalle nel retro, un pozzo e un grazioso gazebo in ferro battuto in cui i padroni passavano i pomeriggi estivi. L'edificio vantava un sistema idraulico particolare che metteva in contatto il canale di Ravaldino con il fiume Rabbi. A corredo di questa singolarità c’era una cisterna circolare, con l’apertura ad imbuto, collocata entro un porticato che faceva da confine tra la casa padronale e il fabbricato dei contadini. Una bandierina segnavento con le lettere “G.P.” svettava in cima al tetto mentre sul cornicione erano collocate numerose bottiglie in terracotta. Nella cisterna circolare, infatti, si lasciava fermentare il luppolo per fabbricare la birra. La casa, situata a un paio di chilometri dal centro di Forlì, in località Bertarina a pochi passi dal ponte vecchio di Vecchiazzano, fu la prima fabbrica che produsse birra con luppolo italiano. Era un antico edificio, con finestre strette e muri molto spessi. Il palazzo del padrone, dall'intonaco rosso, vantava anche un loggiato sotto il quale stazionavano attrezzi agrari. Un bosco da patrimonio botanico faceva da cornice: non resistette alla fame della guerra. Nel retro, la monta, la stalla e uno stalletto, utile per riporvi attrezzi. Un pozzo indicava la strada per la passeggiata alberata sull'argine antico, crinale del podere con vista sui rilievi forlivesi e sulle torri della città. Tutto questo ora non c’è più e al suo posto sorgono campi e palazzine costruite pochi anni fa. Così si è spenta la memoria di un uomo pieno di risorse e della sua impresa più significativa. Invece, il nome del forlivese Gaetano Pasqui a metà dell'Ottocento era noto per la sua attività di inventore di attrezzi agrari, di costruttore di modelli di macchine per migliorare la coltivazione dei campi e per i suoi studi pionieristici su barbabietole e arachidi. Ma l’impresa che fece parlare di lui in tutta Italia e non solo fu l’avvio di una fabbrica artigianale di birra, una delle prime in Italia (dal 1835) e sicuramente la prima prodotta con luppolo italiano. Egli era, infatti, un birraio ma il costo del luppolo importato dalla Germania era diventato proibitivo: quindi pensò di introdurne la coltivazione in Italia. Raccolse le piantine di luppolo selvatico che crescevano nei pressi di casa sua, ne studiò le proprietà e provò a coltivarle: nel 1847 produsse la prima birra fatta con luppolo italiano. Solo nel 1850 ebbe le prime soddisfazioni e nel 1856 conseguì una medaglia in occasione dell'Esposizione provinciale di Forlì, cui seguirono altri riconoscimenti a Firenze (1861) e a Londra (1862). I suoi studi (fu anche assistente alla cattedra di agronomia nel Regio istituto tecnico di Forlì) furono ammirati nelle più prestigiose Università e il suo luppolo, nonché la sua birra, riscossero successo in varie città d'Italia e d'Europa, come testimoniano documenti e opuscoli conservati nel Fondo Pasqui della Biblioteca comunale di Forlì. La coltivazione del luppolo, poi, si diffuse seppur timidamente un po’ in tutta la Romagna, tanto che si hanno notizie di piantagioni a Rimini e Cesena. In un testo di Eugenio Mazzei (“La coltivazione del luppolo nel cesenate”) del 1909, si prende posizione contro chi non crede nella “birra romagnola”. Si legge infatti: «a noi sembra inesatta l’asserzione generica di alcuni scrittori di agronomia, che il luppolo da birra non si sviluppi in Italia, crescendo invece spontaneo in Europa dall’Inghilterra e dalla Svezia sino alle regioni del Mediterraneo». E più avanti si portano le “prove”: «Del resto, una conferma di quanto pensiamo noi si ha già nel fatto che nella stessa Romagna, fino dal 1847 il sig. Gaetano Pasqui di Forlì fabbricante (in quel tempo) di birra, tentata la coltivazione del luppolo, ne sortì un esito veramente lusinghiero, avendo ottenuto da n. 3584 piante coltivato sopra una superficie di un ettaro (circa tre tornature e mezzo cesenati) L. 2010 di prodotto lordo, che diminuite delle spese di coltivazione rimasero L. 1430 di utile netto per ettaro». E poi viene riportato che «un’altra conferma della possibilità cioè, di ottenere coni di luppolo buonissimi per la fabbricazione della birra ci è stata data in questi giorni dallo stesso signor Comandini, portandoci alcuni coni di luppolo staccati adesso (inverno) da una pianta, che egli lascia crescere da anni allo stato selvàtico e facendoci rilevare come essi possedessero ancora molto polviscolo di color giallo dorato intenso ed un profumo, che di molto supera quel lo di alcuni coni di luppolo da noi fatti venire dalla Boemia a mezzo del sig. Guerrino Mussoni». Tale Filippo Comandini, in quel 1909, aveva impiantato una piccola luppolaia a Pievesestina. Sessant’anni prima, però, la coltivazione del luppolo poteva cambiare il volto della Romagna, terra non più di sangiovese, ma di birra; la filossera vessava le viti dei campi pianeggianti. Scrive infatti Alfonso Magiera in “Della coltivazione del luppolo” del 1875 che Gaetano Pasqui di Forlì «dal 1847 al 1850 coltivò una trentina di piante di Luppolo ed ebbe buoni risultati: all’infierire sulla vite della malattia che fece torturare l’ingegno a tanti dotti per trovar succedanei alla più gradita fra le bibite fermentate, lasciandone tutti più o meno sdegnato Bacco, il Pasqui, fabbricatore di birra, pensò sul serio alla sua coltivazione del Luppolo; nel 1873 aveva una luppolaja di qualche entità, fece buona birra e buoni danari». La Birra Pasqui non sopravvivrà a Gaetano, morto nel giugno del 1879, ma l'esperienza dell'agronomo forlivese fu riportata su testi scientifici e accademici dell'epoca e diede impulso alle grandi aziende che tutt'ora sono marchi conosciuti. Gaetano Andrea Leonardo Pasqui morì nella casa al numero 18 di Borgo Ravaldino (ora corso Diaz) alle 14.45 del 19 giugno 1879. La produzione di birra in Romagna è rimasta sempre una rara avis, non riuscendo mai a sconfiggere il dominio della coltura della vite e della cultura del vino. Solo da qualche anno si sono diffusi piccoli birrifici artigianali, anche domestici, per intenditori o semplici appassionati.

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