Riscoprirsi umani è, probabilmente, la più grande delle paure con cui dobbiamo necessariamente imparare a convivere; quando ci rifiutiamo di edificare il nostro universo entro i limiti della possibilità, inconsciamente, generiamo un cortocircuito improvviso tra quello che potrebbe essere e ciò che realmente è stato.
L’autore, Umberto Pasqui, è pienamente consapevole dello spazio multiforme della realtà e tenta di costruirne un ritratto elegante, incastrato tra racconti sospesi e appesi allo stesso tempo, legati ad un unico filo conduttore che muove razionale e irrazionale assieme. Proprio il tempo si conferma uno dei grandi protagonisti; si parla di un “futuro” in declino, di un ottativo senza sostanza che si rifiuta di vivere soltanto nella semplice percezione di se stesso, nell’ingenua e purissima possibilità del “farsi”. Relativismo concettuale e analisi introspettiva si completano come sguardi che da soli non hanno significato. Il volto appare come la “sineddoche della persona”, la conferma che abitiamo tutti una grande “società dell’illusione”, dove soltanto l’apparenza governa anime e sentimenti incastrati in un copro che da contenitore vorrebbe farsi contenuto. All’improvviso si scompare, persi tra il peso di un passato troppo grande per essere vissuto e la necessità improvvisa di accedere al segreto che rende possibile il prodigio della socialità. Si impara a conoscere l’attesa, quella sensazione di perenne ancoraggio al tangibile, mentre il ricordo vorrebbe riaffiorare in superficie. Il tempo dimenticato grida la sua paura di scomparire, il timore che tutto finisca.
Quando si rinviene dal torpore, dal dolore, riprendere a vivere come nulla fosse appare come una continuazione logica e impossibile, perché cercando di convincere gli altri delle proprie sfortune non si comincia a vivere davvero.
Ci si domanda, dunque, quando questo sia realmente possibile, in che circostanze la vita riesca davvero a ripercorrere il percorso tracciato dagli incerti binari dell’esistenza. Il sentiero è, tuttavia, una bozza improvvisata alla meno peggio nel momento sbagliato del nostro cammino e si tenta in tutti i modi di intervenire sulle scelte precedenti, su presunte leggi naturali che ci vorrebbero succubi di noi stessi, delle nostre aspettative. Non appare, certamente, casuale la metafora dei giovani alberi, salvati dai vecchi; siamo tutti costantemente sottoposti alla tirannia dell’esperienza e dell’attimo in fuga, perché rimaniamo figli di qualcuno, salvati soltanto dai “giganti” che ci portano sulle loro spalle per renderci partecipi del loro mondo. Questo mondo è, tuttavia, anche il nostro mondo, l’universo di tutti quelli che decidono di aderire alla chiamata esistenziale della possibilità inespressa; soltanto chi osserva la bellezza del mistero della vita rimane sconvolto ed impara a vedere davvero. L’unica via percorribile per attraversare questi istanti perduti e imperdibili si riflette nella vacuità di una “porta dell’insicurezza”, una profezia che ricorda molto l’immagine del timoniere inesperto alla guida del proprio veliero esistenziale. Imparare a vivere davvero, a governare il vascello tra le tempeste improvvise che emergono dall’oscurità perpetua, non può essere prerogativa impossibile di chi ancora si limita a credere che possa esistere un manuale d’istruzioni per ogni cosa.
“Istruzioni” porta in sé il marchio di una “d” perduta, una lettera che, se aggiunta, porta al termine “distruzioni”. Tentare di spiegare ogni evento avvalendosi di leggi fisiche, di stereotipi antropologici, non porterà a nulla, se non alla completa resa dell’io. Sembrerebbe, invece, necessario imparare a sorridere, rimanendo appagati del mistero che non si spiega, rinunciando alla follia di descrivere la realtà con narrazioni esclusivamente scientifiche.
“Scribacchino di narrazioni che solo lui leggeva”, l’autore dubita proprio di questa presunzione umana, della volontà impossibile di eliminare il trascendente dal concreto; “come se chi è finito possa ridurre l’infinito”.
Alla causalità si sostituisce la casualità, che porta l’uomo a ridiscutere la sua posizione all’interno del sistema naturale, del grande ordine delle cose. In quest’ottica, persino un virus riesce a diventare immagine di libertà, specialmente agli occhi di chi era già abituato all’incomprensione e alla solitudine. La morte appare come un ritorno perpetuo a qualcosa di ulteriore, un viaggio sconosciuto che non si conclude nella sua fine e che, al contrario, proprio da questa acquisisce ulteriore giovamento. Ciò avviene perché la vita nasconde ancora verità alternative e misteri inesplorati; siamo tutti fondamentali, ma nessuno è insostituibile. Avvalendosi della narrazione portata avanti dalle parole dell’autore, la relatività si impadronisce, più o meno volontariamente, del reale, tanto da rimettere in discussione persino il concetto di “follia”. Chi è il vero folle? La dicotomia perfetta prevede uno scontro tra chi non crede a nulla al di fuori del concreto e chi, invece, si isola in un mondo immaginario, impossibile.
A queste possibilità si aggiunga una terza opzione, quella del dubbio, promosso da chi sospetta qualcosa in più, ma è costretto comunque a vivere rispettando i parametri imposti dalla società. Tuttavia, vegetare non è vivere e fingere non significa arrendersi alla mediocrità dell’ipocrisia. Ritorna, dunque, il tema del volto e proprio il dubbio si impadronisce dell’uomo, rianimando un antico spettro di amletiche follie. Forse i visi si ripetono tutti uguali, forse la maschera che indossiamo non è davvero una buona scala di misura per valutare le persone.
Questo grande paradosso, l’impossibilità di valutare il concreto tramite se stesso, si unisce ad un altro paradosso, rinominato “adagio”. Viviamo la vita tanto rapidamente da non coglierne nemmeno più la magia. Abbiamo perso la nostra capacità di stupirci, siamo diventati aridi, abbandonati alla monotonia e al vuoto di giornate neanche troppo vissute. È nella frenesia della vita che si muore davvero, adagio e inesorabilmente, senza nemmeno rendercene conto. La neve, di cui soltanto da bambini si coglie appieno la bellezza, è il riflesso di questa verità; dei fiocchi tanto indifesi sono, invece, capaci di bloccare l’immenso ingranaggio del mondo, lo stereotipo che vuole mente e padrone di sé, del suo proverbiale “destino”.
A volte, soltanto nell’attimo inatteso si riesce a vivere davvero, ad acquisire piena consapevolezza della propria incompiutezza. “Quella che c’era prima non era proprio vita”.
Nelle pagine conclusive della raccolta si percepisce che il tempo rimasto è ancora poco e vengono riproposti temi già trattati in precedenza. Dalla profezia alla trasgressione, le candele che non devono spegnersi si scontrano con “forze oscure” che spingono verso la tentazione, riproponendo la dicotomia perpetua tra bene e male. Su tutto, però, prevalgono forze alternative, figlie e madri assieme di universi alternativi generati dall’autore. Non c’è più tempo; la lettura, l’analisi, è giunta al suo momento di chiusura. Avvicinandosi all’epilogo si ha davvero la stessa paura che si prova nell’immaginarsi il vuoto generato dal progressivo estinguersi di quelle candele poc’anzi citate, ma ci si scontra anche con un’altra verità. La fine, infatti, non è mai la vera conclusione di se stessa, bensì il punto di partenza per ulteriori ragionamenti futuri. Leggere è un viaggio e viaggiare è sempre una perenne ricerca di se stessi, ma quest’analisi introspettiva non può concludersi in poche pagine. Ciò che rimane di questo viaggio senza tempo è la consapevolezza che siamo sempre in viaggio, legati alla ricerca con la quale cerchiamo di conoscere davvero noi stessi e il mondo che ci circonda.
Racconti pubblicati in "Dieci Dodici"
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21/03/10 |
Altro non faccio (Olfa),2011 Trenta racconti brevi (Olfa), 2010. Racconti in ordine alfabetico (Lulu), 2014. |
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Simpatia senza rucola |
25/03/10 |
Rivista OLFA 75/76 Trenta racconti brevi (Olfa), 2010. Racconti in ordine alfabetico (Lulu), 2014. |
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Sineddoche inaudita |
20/06/10 |
Rivista OLFA 77/78 Trenta racconti brevi (Olfa), 2010. Racconti in ordine alfabetico (Lulu), 2014. |
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Prendeva nota di tutto |
05/07/10 |
Rivista OLFA 77/78 Trenta racconti brevi (Olfa), 2010. Racconti in ordine alfabetico (Lulu), 2014. |
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Dialogo improbabile |
05/07/10 |
Prove – Scritti Inediti (Visystem), 2012. Rivista OLFA 87/88 Racconti in ordine alfabetico (Lulu), 2014. |
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La corsa dei faggi |
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Profumi e sapori del bosco, 2010. Racconti in ordine alfabetico (Lulu), 2014. |
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Uscita d’insicurezza |
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Antologia “Prove – Scritti Inediti” (2012) Rivista OLFA 87/88 Racconti in ordine alfabetico (Lulu), 2014. |
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Rigore netto |
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Ironia del cardellino |
11/05/11 |
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A mezza voce |
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Aritmetica narrativa |
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