giovedì 13 ottobre 2022

Il birraio di Romagna

Com'è capitato per altri volumi, passati da "Ilmiolibro.it" ad "Amazon KDP", anche per Il birraio di Romagna è arrivato il momento di cambiare veste. Il volume, mantenendo ovviamente lo stesso tema, è integrato nel testo da alcune scoperte fatte quest'estate consultando l'Archivio storico della Cattedrale, scoperte che in qualche modo (ma senza dirlo ad alta voce) in parte smentiscono quanto asserito nelle edizioni precedenti in merito ad alcune questioni familiari. Sono presenti immagini, correzioni e ulteriori addizioni sull'artigianalità della birra. S'inserisce, dunque, con pieno diritto tra i "Quaderni del Foro di Livio". Si può acquistare su Amazon anche in  versione elettronica tuttavia, si sa, è sempre meglio la carta. 

mercoledì 12 ottobre 2022

Diciannove Ventuno

Come di consueto, nell'attesa del giorno in cui questi volumi saranno letti, raccolgo i racconti scritti da me di tre anni in tre anni. Ecco dunque l'ultimo della serie: Diciannove Ventuno. Vi si legge una quarantina di testi di vario genere, pubblicati in diverse antologie. Il periodo in questione (2019/2021) è stato piuttosto fecondo di scritti, quindi il volume ha un numero di pagine superiore ai precedenti. Non sono compresi racconti "a parte", come Il bambino rosso o Buio presto. In copertina, come per gli altri della serie Gli anni  si vede uno dei miei cappelli. Questo è il trilby misto lana color caffé "Barber" della marca americana Goorin Brothers, comprato nel 2019. L'antologia è disponibile nella versione cartacea o in quella elettronica

A questo punto, incollo la prefazione scritta da Simona Palo. 

Lo confesso: sono un po’ emozionata.
Ho letto tante prefazioni ai libri più diversi, pensando che fosse facile, in fondo, scrivere qualcosa che
attirasse a leggerli. Invece no, non è per niente facile! Non lo è perché non sei un lettore come tutti gli altri, entri nel mondo altrui in punta di piedi, investito da una grande responsabilità.
O almeno così mi sono sentita io alla ‘chiamata’ di Umberto. Ho sentito l’onore di avvicinarmi al lavoro e all’impegno di un altro autore che mi aveva affidato una parte di sé, frutto di tempo e studio, perché altro non poteva fare. Chi scrive non ha scelta, ha questa condanna che lo segna e verso la quale non può fare altro che dedicarsi alle storie che ha in testa.
E Umberto ne ha tante, davvero! Tanti sono i personaggi che vivono in questi racconti brevi ma molto densi di fatti, notizie e descrizioni, come numerose sono le situazioni che nascono e si sviluppano ‘a km zero’.
Racconti più o meno brevi, sì, ognuno a nascondere una piccola perla che nasce di certo dalla profonda
conoscenza della città in cui è nato e vive l’autore, la sua, la nostra Forlì.
E quanti sono i protagonisti di vicende incredibili! Penso a Maria Tonsilla che richiama alla festa del
quartiere di S. Biagio, una piccola fiaba ambientata a San Sopore in cui ritroviamo la protagonista alle prese con gente che proprio con sopporta. Chi di noi non vorrebbe, ogni tanto, poter sfregare come lei ‘due balotte’ in tasca per far sparire chi gli sta antipatico?
E come non amare Giambazzone, il tipico pallonaro professionista che appioppa consigli non richiesti? Ogni bar, ogni luogo di lavoro o gruppo di amici ne ha uno, non si sfugge al fenomeno che sa tutto e ha fatto tutto prima e meglio degli altri.
In questa raccolta, accanto a storie in cui la realtà si mescola all’assurdo, non manca però quel tocco
poetico e un po’ malinconico dato dal ricordo e dalla voglia di ricordare quello che non c’è più o che
potrebbe, forse, ancora essere.
Succede così al termine del racconto che prende il titolo da una parola d’ordine (sembra il nome indiano di un capotribù): Banana che cade.
Il protagonista si ripete che niente di ciò che aveva sognato si era poi realizzato nella vita per poi trovare, nel finale, lo slancio per dire che sì, c’è ancora tempo. Come a dire, in un ‘alternarsi di vicende più o meno grottesche, alcune tristi, altre divertenti, che c’è sempre il tempo per continuare a sognare e sperare nel cambiamento.
Come il geco Maurizio, che intrufolandosi tra le pagine dei giornali impara a leggere e finisce per trovare, nel serpente a due teste con cui condivide l’appartamento, un’amica.
C’è ancora tempo per leggere il libro sulle ‘Cronache del Poi’, ancora tempo per vederle tramutarsi nelle ‘Cronache del Noi’ e sorprenderci per tutta la magia che anche le vite più ordinarie possono nascondere.
E tra un momento dedicato al sorriso o alla critica di una certa società, non si può non tornare con il potere della parola scritta ai giorni in cui si è stati felici, tra le pareti di una casa dei nonni a Villafranca che chiede solo di non essere dimenticata.
Allora preparatevi, prendetevi tutto il tempo perché i racconti lo richiedono e via, si parte…buona lettura!

martedì 4 ottobre 2022

La Pace in Forlì

In un tempo in cui era forte il desiderio di pace tra guelfi e ghibellini, sorse un luogo di culto che nei secoli successivi sarà il motore di un'intensa opera caritativa e assistenziale grazie ai Crociferi, i precursori della Croce Rosse. La chiesa scomparsa della Pace di Forlì, rinnovata dalla testimonianza straordinaria di don Lucio Carrari, accompagnerà gli ultimi istanti di vita dei forlivesi che desideravano avere l'anima in ordine prima di spiccare il salto per l'eternità. Questo testo svela una storia sconosciuta e per molti versi inedita, imperniata in un luogo molto frequentato del centro storico del capoluogo romagnolo. In questo quaderno del Foro di Livio intitolato La Pace in Forlì viene pertanto sviluppata la trama di una vicenda poco o per nulla nota della storia di Forlì. Qui riporto la lusinghiera e amichevole introduzione scritta da Muller Fabbri. 

Quella che state per leggere è una gran bella storia. In una Forlì molto diversa da quella odierna, ma dal volto bellicoso, pericoloso, sanguinario e tenebroso, a cavallo tra il sedicesimo e il diciottesimo secolo, si sviluppano le vicende descritte in queste pagine. Gli ingredienti per la più suggestiva trama cinematografica ci sono tutti: un eremita misterioso, un’icona mariana che improvvisamente comincia ad elargire grazie, un prete in odore di santità tra i contemporanei e una Chiesa, quella Chiesa che è fulcro della vicenda e la quale dopo numerose vicissitudini, cambi di proprietari e di planimetria, finisce per scomparire completamente nel nulla, perchè “l’edificio in questione è scomparso, sostituito, fagocitato nel tempo”. 
Se poi aggiungiamo che tutti questi elementi si inseriscono nel contesto di nomi e personaggi che ancora oggi possiamo leggere nelle dediche di strade, piazze e borghi della città perchè costituiscono l’ossatura della storia forlivese, si capisce la grande importanza che la piccola Chiesetta della Madonna della Pace ha rivestito, a dispetto del tempo che ne ha voluto cancellare anche l’ultimo mattone residuo. Ma prima di procedure ulteriormente, consentitemi di fare un passo indietro e decisamente più personale. Perchè quella che state per leggere non è solamente la storia di un edificio e dei suoi intrecci, ma è prima di tutto una storia di amicizia. Quella fra il Pasqui (che d’ora in poi mi permetterò di chiamare semplicemente Umberto) e il sottoscritto. La nostra amicizia data indietro negli anni, quando entrambi eravamo parte del Branco Scout del Forlì 3 (Santa Caterina), quello dal fazzolettone rosso come il sangue, per intenderci, lui Akela, io Fratel Bigio. Faccio questa precisazione perchè ci tengo a dire che sin da quegli anni ho avuto modo di sperimentare in prima persona l’incredibile e feconda intelligenza di Umberto, autore di questo quaderno. Una delle cose che ho sempre ammirato di più tra le tantissime qualità di Umberto, è stata la sua capacità di sposare una fervida e fantasiosa creatività con un rigore filologico strettissimo. 
Il dato storico prima e al di sopra di tutto. Poi, volendo, si può arricchire la storia di deduzioni ed interpretazioni ma sempre e solo nell’ambito di ciò che il fatto storico permette, senza sgarrare. Perchè, per dirla con le parole dello stesso Umberto: “Talora bisogna avere un approccio quasi dogmatico con certi compilatori di storie: fino a prova contraria hanno ragione”.
Ed è con estremo piacere che ho ritrovato quella dote di Umberto tra le pagine di questo quaderno. Leggendolo, vi sembrerà sin dall’inizio di andare con lui negli Archivi (io l’ho fatto una volta e vi garantisco che è un’esperienza divertentissima) e vederlo emozionato mentre gli viene consegnato un tomo polveroso (che probabilmente non ricorderà nemmeno da quanto tempo e’ rimasto chiuso nello scaffale) ed osservarlo mentre, quadernino e penna a fianco sempre presenti, spulcia tra le righe e riscopre una traccia, un indizio, una prova storica che gli permette di iniziare a ricostruire la trama di ciò che è successo. E ad un tratto, tra il silenzio austero di quelle mura, vi chiamerà per dirvi: “Guarda qui cosa ho trovato!” E il suo entusiasmo diventerà contagioso. Ma tornando a noi: i fatti prima di tutto. E i fatti parlano chiaro. Ad un certo punto, nella storia forlivese, tra le diatribe di Guelfi e Ghibellini, è spuntata una Chiesetta di Santa Maria della Pace, ma di quell’edificio non è restato più niente. Neppure il numero civico. Che può essere solo evinto da una semplice (quanto astuta) proporzione matematica che Umberto ci regala e ci permette di avere almeno un’idea di dove la Chiesetta si trovasse. E dunque dov’è finita questa Chiesa? La risposta nelle pagine a seguire. Un’ultima riflessione vorrei dedicarla ai personaggi che animano questa vicenda. I veri protagonisti sono “uomini semplici, piccoli, nascosti perfino dalla storia anzi negletti”. E sono lì “con i loro limiti, con i loro difetti, e anche con i loro rosari, con le loro croci, con la loro fede”. Si va dalle “nobildonne” che guardano “con terrore l’abbandono del mondo” ai “poveracci all’ospedale, ignorati da tutti, tenuti lontano”, come la povera “Teresa Maroncelli” che Umberto riporta nella “hit parade” (mi si passi il termine) degli infermi che sono stati visitati dai Padri che prestavano servizio ospedaliero. Non ci è dato di sapere la natura della sua malattia (confesso che da medico muoio dalla curiosità di saperlo) perchè questo non è il punto. 
Il catalogo (compilato da Umberto in maniera minuziosa e consegnatoci in questo scritto) non ha alcuna valenza epidemiologica o scientifica, ma vuole sottolineare che è attorno all’Assistenza (quella con la maiuscola) che “s’impernia la missione di questi uomini”. E tra tutti questi sacerdoti che hanno fatto dell’Assistenza la loro ragione di vita, si erge la figura di don Lucio Carrari, nato il primo venerdì di Quaresima del 1690. Confesso di aver controllato io stesso che quel 10 di febbraio del 1690 fosse il primo venerdì di Quaresima. L’ho fatto non perchè avessi dubbi sulla veridicità di questa informazione ma perchè stentavo a credere che di questo sacerdote si sapesse perfino questo dettaglio e addirittura l’ora di nascita e di morte, ma non ci fosse pervenuto niente: neppure una traccia della sua tomba. Credo di non sbagliare affermando che questo quaderno contenga la biografia più completa che sia mai stata scritta su don Lucio Carrari, morto in odore di santità eppure completamente dimenticato ai giorni nostri. Lui aveva capito che “si può prendersi cura di un moribondo facendo in modo che si senta un’anima viva fino all’ultimo”. Nelle pagine di Umberto leggerete della sua formazione e della sua vita e riuscirete a seguire lo scorrere di quella sua vocazione santissima sgorgata sin dalle prime esperienze dell’infanzia. 
E insieme alla vita di don Lucio capirete anche come si intrecciarono le vite di personaggi come i Numai, i Morattini e Cesare Hercolani. Pensate che scoprirete anche chi sono i Novanta Pacifici di cui mi sono sempre chiesto, sin da quando visitai per la prima volta la piazzetta a loro dedicata, e capirete cos’è la Magalotta e l’importanza dell’impronunciabile fra Sinforiano. Terminato di leggere questo libretto, mi sono ritrovato per qualche minuto in silenzio. A ripensare all’importanza di ciò che testimoniamo e lasciamo in questo mondo, e a come la vera storia sia proprio questa: fatta di azioni verso gli altri, di testimonianze di vita affidate ai posteri. Il tempo distrugge i mattoni e il cemento, ma non ciò che siamo stati. E questo, si badi bene, sia che abbiamo lasciato un’impronta positiva che negativa durante questo nostro cammino terreno. Leggendo la storia della Chiesetta di Santa Maria della Pace mi è anche venuto in mente un film che adoro: “Pomodori Verdi Fritti”. Nella scena finale, la telecamera chiude sul “Whistle Stop Café”, il piccolissimo ristorantello da nulla al centro della vicenda e si constata come sia strano che in un posto così piccolo ed insignificante si siano intrecciate le vite di così tante persone. Ecco, la Chiesetta della Madonna della Pace non è stata affatto piccola o insignificante e le pagine di Umberto servono proprio a dimostrare il contrario, però mi piace sottolineare in chiusura, questo parallelismo proprio per mettere a confronto l’abisso che c’è tra la materialità di un edificio e tutto ciò di cui è stato fulcro. Ed in futuro, se passerete tra quelle pietre di “corso Vittorio Emanuele, ora della Repubblica” soffermatevi se non altro a riflettere che proprio lì, tanti anni fa sorgeva un piccolo edificio senza alcuna pretesa architettonica, tra le cui mura ci si preoccupava solamente “che l’anima fosse in ordine, pronta per spiccare il salto”.

Il libro, pubblicato nei giorni scorsi, è disponibile qui in versione cartacea, ma esiste anche nella
versione elettronica. Il 21 dicembre 2022, una copia è stata donata alla sede forlivese dell'Archivio di Stato. 

lunedì 3 ottobre 2022

Le donne di Santa Febronia

Nel Seicento, quattro donne bolognesi acquistarono un'antica chiesa e un convento fatiscente di Forlì con l'intenzione di fondare un monastero di clausura. Riuscirono nell'intento, aprendo il loro luogo di ritiro anche all'educazione e all'istruzione di ragazze nobili. Poi venne Napoleone: dopo 124 anni si consumò la dolorosa e umiliante soppressione. In questo "Quaderno del Foro di Livio" si ripercorre la storia di un luogo completamente dimenticato che lasciò traccia nella storia anche nel Cinquecento, quando i francesi vinsero la battaglia di Ravenna. Si riporta il testo, integrato, riveduto e corretto, di un precedente libretto scritto da me, ovviamente, sul medesimo argomento. Si avvale però, oltre che di una più pregevole veste grafica, pure dell'introduzione di Paolo Poponessi. Inoltre, per raccontare meglio la figura di Santa Febronia, è stato chiesto aiuto a Giacomo Maggiore. Qui penso sia giusto incollare ciò che ha scritto Paolo Poponessi per questo libretto: 

La storia di una città, di un territorio è certamente la narrazione di grandi eventi e di personaggi che ne hanno caratterizzato le varie epoche. In fondo, però, se davvero vogliamo cogliere in pieno l’identità e il sentimento di una comunità, di essa dobbiamo ricercare le storie e le narrazioni più nascoste, rivelatrici davvero del cuore di un popolo, del volto di una città e del carattere di un’ epoca.
E’ proprio questo che, nelle pagine che seguono, ha cercato di fare Umberto Pasqui, tracciando la
storia di figure nascoste quali potevano essere quelle delle suore del monastero forlivese di Santa
Febronia. E’ la storia di un gruppo di persone che avevano messo al centro della loro vita la fede
cristiana e a questo impegno cercarono di mantenersi fedeli, nel rispetto di una regola severamente ascetica, con le inevitabili cadute dovute al limite della condizione umana.
Questo monastero, così come i tanti altri presenti a Forlì, era un luogo di religiosità e di riferimento per la crescita della fede cristiana di tutta la comunità del territorio e anche per questo era pulsante di relazioni con la società nella quale era immerso. Qui, inoltre, si svolgeva una opera educativa a favore delle giovani di buona famiglia, formandole anche in vista di un eventuale loro inserimento nella vita civile. La Forlì del Sei/Settecento era ancora un luogo nel quale i segni della religiosità cristiana caratterizzavano anche l’ orizzonte fisico dei forlivesi nei quali era fortemente radicato il sentimento religioso: tanti conventi, oratori, cappelle, chiese, oltre a immagini devozionali sui muri e le facciate delle case. Davvero era così, anche se oggi, pensando allo spirito anticlericale radicatosi nella seconda metà dell’ Ottocento, potremmo anche fare fatica a crederlo!
Proprio il legame così diffuso nella popolazione con la religione fece sì che nel corso dei secoli il patrimonio della Chiesa e degli ordini religiosi fosse incrementato da donazioni e lasciti assai spesso di natura immobiliare. Questo avvenne anche per le suore di Santa Febronia che avevano immobili in città e terreni agricoli nelle campagne affidati alle cure di contadini che destinavano quote dei raccolti al monastero. Era questa una dimensione economica che assumevano questi luoghi della religiosità che poi, anche per questo, sarebbero finiti nel mirino delle nuove autorità di governo installatesi all’ arrivo di Napoleone anche nel Forlivese a partire dal 1797.
Pure Santa Febronia, sebbene più tardi rispetto ad altre realtà religiose, chiese e monasteri, fu
travolta con la sua comunità dalla politica che intendeva fortemente limitare l’ influenza della
Chiesa nella società. Prima l’ amministrazione “giacobina” poi quella del napoleonico Regno d’
Italia colpirono duramente con le soppressioni gli ordini religiosi. Della vendita all’ asta dei loro
beni confiscati dalle autorità approfittarono nobili e borghesi possidenti per accrescere i loro
patrimoni.
Era l’ inizio di una mutazione della società e ancora più la nascita di un nuovo sistema di valori in forte dialettica con quelli tradizionali e, alla radice, con la visione dell’ uomo e della società propria del cristianesimo, una dialettica che ancora oggi prosegue…
Forlì ne uscì profondamente mutata nella sua società e in parte del suo popolo così come le vicende storiche successive avrebbero dimostrato. Lo stesso paesaggio urbano ne uscì cambiato con tanti luoghi della religiosità forzatamente sconsacrati e trasformati in abitazioni, laboratori, magazzini o caserme o addirittura quasi totalmente demoliti. Purtroppo era iniziato un processo che sarebbe poi proseguito con lo Stato unitario.
Furono così cancellati luoghi plurisecolari della devozione e con essi riti e feste a questi collegati. 
La memoria di tanti di essi è andata completamente perduta, come quella del convento di Santa Febronia e delle suore che lo animarono. Ma, fortunatamente, il monastero e coloro che in esse vissero, grazie a Umberto Pasqui, riemergono su queste pagine dal passato e dalla dimenticanza.

Il volume, pubblicato nell'agosto scorso, è disponibile qui. Chi lo preferisse nella versione elettronica, lo troverà qui

domenica 2 ottobre 2022

Interferenze dei funghi preistorici

Un borgo senza nome si trova al centro del conflitto tra la Nuova Tecnologia Obbligatoria e il Comitato Pro Funghi Preistorici. E anche la vicina città della fabbrica di mutande non se la passa benissimo. In mezzo a questa trama s'intrecciano le vicende di personaggi eterogenei e sfuggenti, accomunati dalla stessa fine. Solo tre osano prendere una strada diversa, a muovere una ribellione contro ciò che sembra ineluttabile. Tornerà la pace? Sì, ma a che prezzo?

Queste sono le "premesse" o le "promesse" delle Interferenze dei funghi preistorici, racconto la cui uscita, come prassi (così è avvenuto per "Il bambino rosso", 2020 e "Buio presto", 2021) era programmata per Pasqua 2022. In effetti il testo, a quella data, era completo, salvo revisioni, correzioni e prefazione di Moreno Zoli che qui si riporta. 

“Di quanti miracoli siamo inconsapevoli? Di quante cose prodigiose che accadono ogni giorno non ci accorgiamo? E da quanti pericoli provvidenzialmente scampiamo, chi lo sa? E da quali segrete forze malvagie, così, senza che non ne veniamo a conoscenza, siamo salvati, protetti o guariti?”
Scrivere la prefazione ad un racconto non è mai cosa semplice, per me poeta ed abituato a scrivere di emozioni in poche righe. Mi sono chiesto dunque se sarei stato all'altezza di descrivere alla giusta maniera queste pagine. Poi ho iniziato a leggerlo e mi sono ritrovato in un viaggio incredibile, onirico, che al termine di una prima lettura posso solo definire in un modo: Geniale!
Badate bene, non è una affermazione partigiana dovuta alla mia amicizia con
Umberto Pasqui: Qui esce il professore, lo storico, il giurista e soprattutto il sognatore.
Escono la fantasia e la ricercatezza del linguaggio per raccontare qualcosa di diverso ad ogni lettura.
Sì, perché "Interferenze dei funghi preistorici" va letto più volte per entrare in sintonia con i personaggi di questo mondo fatato, così fantastico, ma così talmente simile al nostro. Ogni volta un nuovo tassello magicamente vi entrerà in mente riallacciandosi alla lettura precedente.
Così sarà possibile che Don Panacca si riveli ai vostri occhi totalmente diverso, che Bruno e China siano più di quello che sembrano. Ma queste sono solo intuizioni che ognuno potrà avere solo leggendo e rileggendo, perché i personaggi sono tantissimi, più o meno stravaganti, con nomi che ad un buon Romagnolo non possono non risultare familiari.
Funghi, fantasmi, parassiti, boschi fatati, biglietti dal passato dimenticati, guerra, ma anche speranza, con la malinconia che cresce pagina dopo pagina.
La bravura di Pasqui sta proprio di riuscire alla fine ad unire tutti questi componenti di un puzzle, lasciando il lettore a bocca aperta, stupito dall’incasellarsi pezzo dopo pezzo, riga dopo riga.
Non voglio raccontare di più perché sarete voi pagina dopo pagina a crearvi ad immagine e somiglianza questo mondo, e vi accorgerete che da osservatore curioso, vi ritroverete protagonisti al suo interno, vostro malgrado.
Spero davvero che possa esserci un seguito, perché il finale aperto lascia mille chiavi di lettura, ed il modo migliore per decriptarle è appunto quello di continuare a scrivere di questo magico mondo che da oggi sento un po’ anche mio.
Buona lettura a tutti e grazie ancora Umberto di questo dono.

Il racconto, pubblicato nei mesi scorsi, lo si può trovare qui. Se proprio preferite, ne esiste anche la versione elettronica

martedì 11 gennaio 2022

Un Natale horror 2021


Non è stato un anno facile, il 2021, tuttavia non in modo tale da definire "horror" il Natale. Però, già che c'ero, non mi sono sottratto al concorso indetto da Letteraturahorror.it per l'antologia natalizia. Il risultato è un tomo ponderoso che ha accolto pure il mio Segnale debole o assente tra le pagine 44 e 48. Come ho interpretato, questa volta, il tema? Di questi tempi non è strano se la realtà offre agganci inquietanti alla fantasia, quindi che dire della Città Nuova, luogo sfuggente in cui un padre è stato forzatamente inviato dalla Fola? Grazie al Cielo, la Vigilia di Natale offre altre prospettive... Continuo a scrivere le mie storie strambe che probabilmente nessuno legge, nonostante il tema non credo siano così orribili. Anche questa volta sono inserito in un'antologia ben curata e, se comprata nella versione completa, decisamente corposa, con testi eterogenei e spunti piuttosto originali. 

lunedì 10 gennaio 2022

Nasf 17

Sono rimasto piuttosto indietro rispetto alle mie nuove scorribande in antologie varie. Colmo la lacuna iniziando dalla più recente: Nasf 17. L'ormai consolidata antologia di fantascienza accoglie un mio raccontino scritto ad hoc: La moda del serpente in testa. Di che si tratta? Per capire meglio si potrebbe acquistare l'antologia e leggerne il testo (tra le pagine 107 e 112). Per chi non ne avesse voglia si può solo dire che viene raccontata la vicenda di una mostruosa tendenza imposta dall'alto cui solo un'anziana donna dal nome antico osa opporsi.