mercoledì 27 luglio 2011

L'uomo della birra - Cronache

Umberto Pasqui, L'uomo della birra

Cartacanta editore, 2010

Articolo pubblicato su www.cronachedibirra.it

Concludo infine con un ultimo libro, di cui i più attenti di voi avranno notato la presentazione in anteprima al passato Birra e Dintorni. In realtà non ne so moltissimo e le uniche informazioni che ho trovato sono consultabili sul sito della casa editrice, Carta Canta. Il volume si chiama L’Uomo della Birra ed è scritto da Umberto Pasqui, discendente dell’agronomo Gaetano Pasqui, protagonista dell’opera e primo in Italia a coltivare luppolo nel XIX secolo, fino ad impiegarlo per la sua birra artigianale.
Ecco come viene presentata la pubblicazione:
L’incredibile storia della più antica “bionda” di luppolo italiano. «Immagini il lettore un giovane uomo sul ciglio di un fiume, teso a raccogliere e studiare ciuffetti di erbaccia.» Siamo a metà dell’Ottocento. Per Gaetano Pasqui, giovane agronomo italiano dotato di una creatività eccezionale non si trattava però di comune erbaccia, ma di luppolo selvatico. In un periodo storico nel quale il luppolo si importava dalla Germania o addirittura dall’America e costava ben 15 lire al chilo, Gaetano Pasqui fu il primo a coltivarlo in Italia e a dare vita alla prima luppolaia nostrana. Ci fu un periodo in cui il Bel Paese sarebbe potuto diventare la patria della bionda più amata di tutti i tempi…
L’Uomo della Birra è acquistabile sul sito di Carta Canta al prezzo di 12 euro.

L'uomo della birra - Gazzette

Umberto Pasqui, L'uomo della birra



Cartacanta editore, 2010

Articolo pubblicato su Romagna Gazzette

Dopo l' Uomo delle stelle ecco L’uomo della birra. In una vicenda reale.

Umberto Pasqui, personaggio reale, storico, in carne ed ossa mette in scena la sua storia. Anche perchè L’uomo della birra’, infatti, è esistito per davvero, addirittura a due passi da casa nostra: a Forlì.

Come Grisham ha ideato ‘L’uomo della pioggia’ e Giuseppe Tornatore ‘L’uomo delle stelle’, così Umberto Pasqui ha coniato ‘L’uomo della birra’. La differenza sostanziale tra i tre 'uomini' sta nel fatto che i primi due sono frutto della fantasia dei loro autori, il terzo invece è stato un personaggio reale, storico, in carne ed ossa. ‘L’uomo della birra’, infatti, è esistito per davvero, addirittura a due passi da casa nostra: a Forlì. Si chiamava Gaetano Pasqui, era un agronomo romagnolo della metà dell’Ottocento, personaggio salito alle cronache nazionali per essere stato il primo a realizzare una birra con luppolo di produzione italiana. Erano anni di grande fervore nella produzione delle bionde nel nostro paese, con alcuni marchi destinati ad arrivare fino ai giorni nostri: la Wuhrer di Brescia (1829), la Peroni (1846), la Menabrea (1846), la Moretti (1859). E tra questi, a pieno titolo, troviamo anche la birra Pasqui (1835), che avrà il merito di trovare una via originale nel mercato di casa nostra. Una novità assoluta nel panorama della penisola, dettata da una necessità contingente: l’importazione di luppolo dalla Germania aveva raggiunto costi talmente proibitivi che si era resa necessaria una via di uscita ‘autarchica’ per ovviare al problema. L’intuizione di Pasqui è quella di coltivare il luppolo selvatico che vedeva crescere lungo le sponde del fiume Rabbi, scelta che nel 1847 vedrà l’arrivo della prima birra con luppolo Made in Italy, anche se le prime soddisfazioni imprenditoriali arriveranno tre anni dopo. L’eco di questa innovazione si fa talmente grande che nel 1856 gli viene consegnata una medaglia in occasione dell’Esposizione provinciale di Forlì, seguita poi da altri importanti riconoscimenti, a Firenze (1861) e Londra (1862). Nulla di strano visto il personaggio: agronomo col piglio dell’Archimede, inventore di attrezzi agricoli, nonché costruttore di modelli di macchine per migliorare la coltivazione dei campi. La sua è una storia tutta italiana, in una terra di Romagna laboratorio di idee politiche e sociali destinate a lasciare il segno su tutta la penisola.  Umberto Pasqui, ‘L’uomo della birra’ (Carta Canta, Forlì, pp. 96, euro 12,00). (www.filippofabbri.net)

lunedì 25 luglio 2011

Un po' l'ora notturna - Mettica

Umberto Pasqui, Un po' l'ora notturna


Recensione di Paola Mettica
(Pubblicata sul settimanale il Momento del 6 agosto 2008)

Una manciata di novelle brevi, stravaganti, nate da un'immaginazione "giovane", quattordici racconti che scorrono grazie ad uno stile suggestivo e facile che lascia spazio alla fantasia senza mai essere banale.
Storie sospese tra il magico e il fantasmagorico, il quotidiano e il surreale in cui i personaggi si staccano dal contesto di apparente normalità per entrare in uno spazio diverso, dove vivono situazioni inaspettate e sorprendenti.
Nei racconti di Pasqui i protagonisti sono personaggi dai nomi strani, bambini, adulti, ma anche oggetti, piante, perfino ninfe che non si accorgono che la dimensione del reale si confonde presto con la dimensione del sogno, pur senza perdere la naturalezza della vita che scorre.
E la lettura diventa veloce, e incuriositi, si vuole capire cosa succede, senza rendersi conto che il filo logico alla fine si è rotto, il gioco è finito, non esiste razionalità evidente.

sabato 23 luglio 2011

Gli strani casi del Principino Vanostemma - Giornalisti

Umberto Pasqui, Gli strani casi del Principino Vanostemma


Articolo pubblicato sul n.74 (aprile 2009) della rivista "Ordine Giornalisti Emilia-Romagna" a pag.79
Una storia che inizia con un omicidio misterioso, di cui sarà difficile trovare il responsabile. Ma l'enigma da risolvere è soltanto uno degli elementi centrali della vicenda. Umberto Pasqui, autore di narrativa e curatore di libri per ragazzi, con Gli strani casi del Principino Vanostemma catapulta il lettore in un giallo al contrario, nella vita di un principe che decide di trasferirsi in una cisterna, lontano dalla famiglia e dagli amici, per una sorta di scommessa con se stesso. Avrà a che fare con un fulmine che parla, una fornaia volante, una zanzara petulante e delle nutrie dispettose: personaggi che lo accompagneranno fino alla scelta finale.

Gli strani casi del principino Vanostemma - Pugiotto

Umberto Pasqui, Gli strani casi del Principino Vanostemma

Maremmi Editori - Firenze Libri, 2008


Recensione di Andrea Pugiotto
(Pubblicata sulla rivista Poeti nella Società - Anno VIII - Num. 43)

Da quando Italo Calvino, morto giusto vent'anni fa, ci narrò le strane vicende di Cosimo Piovasco, Barone di Rondò che, in rotta coi genitori, passò la vita a rampare sugli alberi, non era più capitato un libro altrettanto peregrino e surreale quanto questo testo di Pasqui, che avrebbe potuto benissimo intitolarlo Il Principe nella cisterna. Il che avrebbe forse stuzzicato vieppiù la curiosità del lettore.

Un nobiluomo ultraquarantenne, con una moglie, Clementina, e un figlio, Vologeso, soprannominato da vicini e conoscenti Il Principino, in tono dispregiativo (ma principe lo è davvero), decise di rinchiudersi in una cisterna di materiale trasparente, color arancione, per motivi non molto chiari (neppure a lui stesso), poco tempo dopo che un delitto era stato consumato in zona.
Così Robertino Consalvo Maria Vanostemma vive, per circa un mese, chiuso nella cisterna che ha fatto mettere quasi al bordo d'una strada carrozzabile, lungi alquanto dalla propria casa, ricevendo visite (spesso importune per lui) da uomini e bestie, amici e vicini, curiosi e/o preoccupati per la sua sorte. In questi incontri-scontri, più verbali che maneschi, il Principino ha modo di confrontarsi con gli altri, di ascoltare storie, di ricevere consigli (non richiesti) e di riflettere sulla propria ed altrui condizione. Finchè...

Un libro davvero curioso e accattivante, nel suo genere e che, in apparenza, non sembra seguire un percorso ben definito, un filo logico che prevede una meta cui pervenire.
Pur non muovendosi affatto (o quasi) dalla sua casa di nuova concezione, Robertino viaggia molto, attraverso le parole sue e degli altri, alla ricerca della Verità.
Una verità tutta sua, che esclude il contesto in cui vive, ma che deve però scontrarsi con la Verità oggettiva del mondo che lo circonda e che lo richiama, con lusinghe o con minacce, ai suoi doveri: quando si ha moglie e figlio non si può giocare all'eremita e gettarsi tutto alle spalle, come un fazzoletto usato!
Ma queste sono considerazioni facili da farsi. Come sempre, ogni lettore è il risultato di esperienze diverse da quelle di tutti gli altri. Pertanto, mettervi a parte delle mie congetture personali è del tutto inutile.
Fatevi voi stessi un'idea dello strano mondo del Principino Vanostemma. Ci sarà da ridere! O da piangere. O da riflettere. Chissà...

Gli strani casi del principino Vanostemma - Ricci

Umberto Pasqui, Gli strani casi del Principino Vanostemma


Maremmi Editori - Firenze Libri, 2008


Recensione di Rosanna Ricci
(Pubblicata sul quotidiano "Il Resto del Carlino" del 23 giugno 2008)

Vanostemma, che vita fantastica

SE IL LIBRO di Umberto Pasqui ‘Gli strani casi del principino Vanostemma’ fosse un quadro (come lo è quello di Enzo Pasqui riprodotto nella copertina) potremmo definirlo surreale perché intreccia, con straordinaria carica fantastica, il reale e ciò che può essere il prodotto solo di un’immaginazione che vola fra le nubi dell’inverosimile e del magico.
Partiamo dal nome del principino (che poi principe non è) di Malmissole e Roncadello: Robertino Consalvo Maria Vanostemma, nome complesso e lontano da quelli che possono far parte di una fiaba per ragazzi. E infatti non è una fiaba, ma una storia che, in certi momenti, disorienta volutamente il lettore perché originale e di sicuro fuori dagli stereotipi di un genere fantastico.
All’inizio c’è un omicidio, ma l’assassino non ha la pallida idea di essere stato lui. E già qui cominciano a farsi strada dubbi ed interrogativi. Segue poi la decisione del principino di abbandonare moglie e figlio ( anche lui dal nome strano, Vologeso) per vivere dentro una cisterna, di vetroresina collocata in un fossato/canale. A far visita allo stizzoso e insofferente abitante si alternano una fornaia che oltre a portargli i panini ha le ali e può volare verso il cielo in cui conduce un povero intristito e malconcio fulmine che non ha più la forza di salire in alto; due coniugi che cercano di riportare Robertino coi piedi per terra, ossia abbandonare stranezze degne di uno psicopatico.

NON MANCANO dialoghi e patti con nutrie che si introducono nella cisterna e chiedono cibo al principino e zanzare che con ragionamenti che non fanno una piega, spiegano l’importanza che ha per loro succhiare un po’ di sangue umano. Si tratta di una storia fra fiaba e gioco in cui, fra sogghigni, incisi e qualche fugace immagine concreta, non si sa più fino a che punto l'autore voglia provocare o divertire e in cui ogni stranezza viene puntualmente proposta come qualcosa di logico e curiosamente in bilico fra realtà e assurdo. Un teatro, dunque. Umberto Pasqui da burattinaio, manovra i fili dei suoi personaggi e fa compiere loro le più impensate ed originali acrobazie di dialoghi e di movimenti. La storia si dipana con un linguaggio asciutto, rivolto all’essenziale con espressioni ( e anche terminologia) sempre al limite fra serioso e improbabile.

http://www.ilrestodelcarlino.it/forli/2008/06/23/98940-vanostemma_vita_fantastica.shtml

Un po' l'ora notturna - Andreatta

Umberto Pasqui, Un po' l'ora notturna


Edizioni Kimerik, 2006

 

Recensione di Emanuela Andreatta
(Pubblicata sul quotidiano "La Voce di Romagna" del 28 agosto 2006, pag. 23)


Ma come sono fortunate quelle zollette di zucchero scampate alla morte per annegamento nel caffè…

“Raramente nella sua vita si era sentito infelice (ultimamente mai) ed in quei momenti lo era perché insoddisfatto: voleva risolvere il mistero, ma non sapeva come riuscirvi, o non trovava il coraggio né la forza per compiere il passo decisivo (…). Del suo stato s’accorse soltanto una tortora che gli si avvicinò mormorandogli parole di conforto”. Queste poche righe sono tratte da uno dei testi che compongono “Un po’ l’ora notturna… ” (Kimerik Edizioni), una raccolta di racconti – quattordici in tutto, quattro dei quali inediti – di Umberto Pasqui, giovane collega de “La Voce” con una laurea in giurisprudenza nel cassetto e una grande passione per la scrittura, che egli da tempo riversa, oltre che nelle pagine del giornale, in alcuni periodici letterari di cui è ricca la nostra regione. Dalla citazione emerge immediato uno dei caratteri distintivi della vena narrativa di Pasqui: l’assoluta naturalezza con cui, nelle sue storie, il mondo degli umani s’interseca – o s’intreccia, si sovrappone quasi – con quello degli animali e degli oggetti solitamente inanimati. Accade perciò che l’“io narrante” di un racconto sia uno specchio, sgomento per il fatto di non essersi mai potuto realmente vedere; oppure che una fanciulla si ritrovi kafkianamente trasformata in una succosa pesca solo perché ne ha annusato il profumo; o, ancora, che ad un’altra ragazza capiti di venir rimproverata dagli uccelli, dalle onde e dalle nuvole per aver inconsapevolmente sottratto loro il vento, perdutamente innamoratosi del suo dolce viso. Dialoghi arguti, atmosfere sognanti, sottili ironie – quando non esilaranti invenzioni, come nel caso del racconto “La dolce evasione”, in cui protagoniste sono alcune zollette di zucchero, ognuna individuata con tanto di nome classicheggiante, fortunosamente scampate alla morte per annegamento nel caffè – pervadono le pagine di Pasqui, surreali anche quando s’avventurano nei territori dell’ansia o dello spavento. Fanno venire alla mente gli universi immaginifici delle nostre infanzie, quando non sorprendeva affatto che il cielo avesse lo stesso colore di una cravattina indossata per la Prima Comunione (e che perciò il ricordo di tutto quell’azzurro rimanesse nella memoria così indelebile da valicare anche i confini del tempo se per caso quell’accessorio rispunta dal fondo di un armadio). Soprattutto, rievocano i soggetti dei tanti dipinti, magrittiani nel segno e nello spirito, realizzati dal nonno di Umberto, Enzo Pasqui, un apprezzato artista che di professione ha però fatto tutt’altro (anche l’inventore meccanico): un tratto di famiglia, insomma, accomuna gli esiti figurativi dell’uno a quelli letterari dell’altro. Con la poesia, ora ilare ora malinconica, che entrambi riescono sempre a sfiorare.